Page 108 - Amici come prima. Storie di mafia e politica
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suo movimento, registrano ogni suo incontro. Mentre è assessore ai Lavori
          pubblici, parlando al telefono con un suo amico mafioso, afferma: «Io non
          faccio parte della chiesa, però conosco i panini [preti] e li rispetto. Non so
          se mi spiego...». La chiesa di cui parla, secondo i magistrati della Dda di

          Palermo, è Cosa nostra, al cui servizio il politico avrebbe messo da anni la
          sua attività.
              Lo Giudice avrebbe pilotato appalti, indirizzato finanziamenti, intimorito
          candidati concorrenti e avrebbe persino aggiustato un processo attraverso

          il condizionamento di un giudice popolare. Per le forze dell'ordine, invece,
          non  ha  grande  simpatia.  Quando  parla  con  il  mafioso  Di  Gioia  afferma:
          «Vedi  che  ci  sono  sbirri  che...  contro  di  te...  cornuti,  Dio  cane,  che  li
          dovrebbero  cogliere  a  pezzi  a  pezzi».  Quando  una  mattina,  uscendo  di

          casa,  trova  un  candelotto  di  dinamite  sul  sedile  della  sua  auto  cosa  fa?
          «Potevo mai andare in caserma? - è Lo Giudice che parla al telefono - ho
          preso il candelotto, me lo sono messo in tasca, e sono andato al negozio
          dello zio Diego». Per l'uomo delle istituzioni è quindi chiaro chi rappresenta

          la legge e l'autorità sul suo territorio. Anche la coerenza politica non è il
          suo forte. Diventa sindaco con la Dc. Quando questo partito viene travolto
          dalla crisi e dalle inchieste giudiziarie, sceglie il Psdi, per poi passare, dopo
          solo qualche anno, al Ccd. Dopo la caduta del governo Prodi traghetta nel

          centrosinistra, con l'Udr di Mastella e Cossiga. Quando in Sicilia si realizza il
          controribaltone  non  si  schioda  dalla  sua  poltrona  di  governo  e  cambia
          schieramento, ritorna nel centrodestra, mantenendo, ovviamente, la carica
          di assessore.

              In quei giorni, in un colloquio con i giornalisti, riferendosi a Rifondazione
          comunista, afferma: «Io con questi con la barba incolta e l'orecchino non
          c'entro un cazzo». E poi, cosi spiega il suo passaggio al centrodestra: «Non
          potevo stare a sinistra, con i comunisti che non valgono un cazzo. Io mi

          sposto  e  mi  sposto  nel  centrodestra,  nel  Cdu,  partito  di  Buttiglione...  se
          segue un poco la politica». Alla fine transita nell'Udc.
              Ora è in carcere anche lui. Il 29 marzo del 2004 gli uomini della squadra
          mobile di Agrigento lo arrestano assieme al sindaco di Canicattì, eletto con

          il centrosinistra, e altre 39 persone, con l'accusa di associazione mafiosa.
              Tra le tante cose emerse dalle intercettazioni una fotografa al meglio il
          personaggio: Lo Giudice chiede a un amico imprenditore in odore di mafia
          di  convertire  500  milioni  di  vecchie  lire  prima  dell'entrata  in  vigore

          dell'euro.  Cinquecento  milioni  liquidi  che,  come  in  un  film  di  Totò  e
          Peppino, dice di tenere «nascosti in casa, sotto un mattone».
              Fuori  dal  carcere,  invece,  rimane  suo  figlio,  Rino,  anche  lui  indagato
          nell'ambito della stessa inchiesta, che grazie ai voti e alla forza politica di

          suo padre è stato eletto presidente del Consiglio provinciale di Agrigento.
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