Page 363 - Shakespeare - Vol. 4
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non troverai chi vai cercando. Su di lei piovano e si riversino le celesti
benedizioni, e mille impedimenti incontrino la furia di questo scellerato: suo
unico compenso sia il travaglio.
[Esce.]
Scena VI EN
Entra Imogene, vestita da ragazzo.
IMOGENE
Penosa mi appare la vita di un uomo:
sono spossata, e per due notti di fila
è stata la terra il mio giaciglio. Sarei già malata,
se non mi reggesse il mio fermo proposito.
Quando dalla vetta del monte Pisanio t’indicò,
Milford, sembravi a un tiro di schioppo. Oh, Giove!
Gli asili deputati al conforto dei derelitti
sembrano invece evitarli! Due accattoni mi dissero
che non potevo sbagliare strada. Dicono dunque il falso
anche i poveri, afflitti da quelle angustie
che sanno essere prova o castigo? Non desta sorpresa,
considerando quanto di rado i ricchi pratichino il vero.
Mentire da sovrani, però, è più grave che farlo da indigenti.
Mio dolce signore, uno di questi impostori tu sei!
Ora che penso a te, non ho più fame. Eppure, poc’anzi,
quasi cedevo per l’inedia. Ma questo cos’è?
C’è come un sentiero che lo raggiunge: una specie
di covo impervio. Meglio non dare la voce,
non ne ho il coraggio. Tuttavia la fame,
prima di vincere la natura, la rende audace.
Abbondanza e pace generano codardi, ma una vita dura
è madre di ardimento. Ehi, c’è nessuno?
Se sei un essere civile, parla. Se selvaggio,
prendi ciò che ho o prestami del tuo. Ehi! Nessuna risposta.
Dunque, entrerò. Meglio a spada sguainata:
e se il nemico la teme quanto me, nemmeno avrà il coraggio
di guardarla. Oh, cielo, dammi un siffatto nemico!