Page 263 - Shakespeare - Vol. 4
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dell’Enrico V, il gioco sui vari livelli della finzione teatrale: finzione di cui Gower è allo stesso tempo il
grande regista e il sottile demistificatore. La macchina del teatro si forma e si rivela in tutti i suoi
congegni.
294 IV, iv, 1 Non interpreterei waste nel senso di “annullare”, come viene di solito suggerito: il teatro non
annulla il tempo, lo consuma in fretta, lo scorcia per rapide ellissi.
295 IV, iv, 2 Con possibile allusione alla piccola misura e al tipo elementare di nave forse allestita sul
palcoscenico nella scena della tempesta (III, i) e poi nella scena dell’agnizione (V, i).
296 IV, iv, 2 Dove la fantasia dello spettacolo teatrale, vissuto dall’interno, dalla parte degli attori, si
incontra con la facilità degli avvenimenti della fiaba: il teatro diventa così lo sconfinato regno del
possibile.
297 IV, iv, 3 Mi sembra da scartare l’emendamento, proposto da Malone e seguito da molti, di our con
your: qui Gower sta parlando della fantasia dei personaggi, e più ancora degli attori, teatrali, che
tutto possono fare, inventare, accelerare, nel tempo come nello spazio, a condizione che ci
credano, che si muovano dentro la tela della finzione.
298 IV, iv, 3 È l’immaginazione, la fantasia, l’Ulisse errante nel regno del meraviglioso, e cioè la vera
protagonista del romance, dove al viaggio dell’eroe deve sempre tener dietro il viaggio della mente
di chi lo interpreta, da una parte, e di chi fa da spettatore, dall’altra. La magia fiabesca si crea
all’interno di queste due avventure. È una magia, qui, semplice, che sarà poi sottoposta,
soprattutto nella Tempesta, l’ultimo romance, a una interrogazione sottile: sui suoi trucchi, sui suoi
fini, sul suo stesso statuto, non solo artistico ma anche epistemologico.
299 IV, iv, 5 Qui iniziano i riferimenti alla parte del pubblico, così indispensabile nella finzione teatrale.
300 IV, iv, 8 Accolgo l’emendamento proposto da Maxwell per la lezione with gaps dell’in-quarto.
301 IV, iv, 9 È la sua funzione di narratore diegetico, di colui che riempie tutti i “vuoti”, e cioè le ellissi,
che il dramma presenta nel suo sviluppo mimetico. La fantasia del pubblico può e deve lavorare
congetturalmente sui vari nessi scenici, così come può e deve supplire ai poveri mezzi teatrali per
immaginare luoghi, spazi e riferimenti, ma non può (così almeno dice Gower) riempire da sola i vuoti
di avvenimenti tra le varie scene. Di fatto, io credo che questo dramma sarebbe comprensibile
anche senza gli interventi di Gower; ma certo sarebbe un’altra cosa, perché è Gower a fornire gran
parte della suggestione − fiabesca, da un lato, metapoetica e metateatrale, dall’altro − che così si
conviene al tono del romance. Gower, a suo modo, è il primo abbozzo di Prospero nella Tempesta:
è vero che non fa nascere gli eventi, né li modifica, né li controlla, ma è anche vero che la sua
risulta già essere una figura magica, di una magia che afferisce soprattutto, come poi in Prospero,
al potere della parola.
302 IV, iv, 19 Versi con tutta probabilità trascritti malamente, ed emendati con his al posto di this e grow
on per grone; ma il senso è chiaro; se la velocità del pensiero ha fatto arrivare Pericle in un baleno a
Tarso, così, governando la nave della fantasia allo stesso modo, il pensiero del pubblico filerà in
tutta fretta a Tarso.
303 IV, iv, 21-22 Con queste parole Gower introduce un’altra pantomima, scena muta dove i personaggi
hanno lo statuto irreale di pulviscolo nel sole o di ombre (ma si ricordi che shadow ha spesso in
Shakespeare il senso di “attore”). Durante la pantomima viene, per così dire, tolto il sonoro, e perciò
Gower si affretta ad annunciare che sarà lui, con le sue parole, a riconciliare gli orecchi con gli occhi
del pubblico, non appena lo spettacolo mimico si sarà concluso.
304 IV, iv, 23 Lo spettacolo complessivo offerto a Pericle da Cleone e Dionisa, con finta pena e false
spiegazioni.
305 IV, iv, 24 Interpreto questo passo secondo la lettura proposta da Edwards: Gower qui starebbe
mettendo a contrasto il carattere falso del dolore di Dionisa e Cleone (uno spettacolo infame,
malvagio) con il carattere fittizio del dolore che l’attore il quale impersona Pericle (appunto con una