Page 267 - Shakespeare - Vol. 4
P. 267
con l’omofono palace (palazzo). Poiché Pallade Atena era la dea della giustizia e la personificazione
stessa della sapienza (e quindi della verità), mi sembra assai più opportuna questa immagine,
funzionale, di divinità − che segue a un’altra, pur astratta, personificazione: as Justice − che non la
goffa idea di un “palazzo” in cui risiederebbe la Verità. L’uso del verbo to dwell è spesso metaforico
in Shakespeare e può ben essere riferito a persona. Si noti, inoltre, che pochi versi prima Pericle
aveva già evocato un’altra dea, Giunone, e che poco più sotto, al v. 138, userà un’altra
personificazione, quella della Pazienza, in una famosa immagine.
362 V, i, 121 Pericle ascolterà non solo con gli orecchi ma con l’intera sua capacità percettiva.
363 V, i, 123 Come già in IV, i, 20, friends è qui usato a indicare parenti o genitori, piuttosto che amici.
364 V, i, 124 say: emendamento, di Malone, per la lezione stay dell’in-quarto.
365 V, i, 136-137 Celebre immagine, di straordinaria suggestione figurativa e filosofica a un tempo. Il
riferimento di base è alle statue della Pazienza poste su certe tombe monumentali, come ci indica
un altro passo shakespeariano, della Dodicesima notte, II, iv, 113-14: «She sat like Patience on a
monument, / Smiling at grief». In entrambi i brani la Pazienza ci appare su una tomba, con un
sorriso superiore alle pene degli uomini, pene che colpiscono anche i più potenti, anche i re. Il
distacco della Pazienza è oltremondano. Qui la pregnanza dell’immagine sta soprattutto nell’uso
transitivo di smiling, il sorriso metafisico che espugna la Extremity (la più alta sventura o calamità)
dalla sua mondana fattualità (out of act).
366 V, i, 138 How lost thou them? Thy name: emendamento, proposto da Malone, della lezione dell’in-
quarto: How lost thou thy name.
367 V, i, 142 Come fa notare Hoeniger, la beffa e il riso sono temuti anche da Lear nella scena
dell’incontro con Cordelia (IV, vii, 59 e 68-69: «pray do not mock me», «do not laugh at me...»). È
un altro collegamento tra questo primo romance e la tragedia di Lear in cui si instaura quel rapporto
privilegiato padre-figlia che si incontrerà anche in tutti i successivi romances.
368 V, i, 151-152 Seguo la lezione dell’in-quarto, spesso emendata nella punteggiatura, e quindi nel
senso, in questo modo: are no fairy / Motion? Well («non hai, non sei, un movimento fatato?
Bene»).
369 V, i, 175 La sintassi di questi ultimi versi è confusa e imprecisa, a causa evidentemente di una
cattiva trascrizione; il senso, tuttavia, è chiaro.
370 V, i, 190-193 Altra straordinaria immagine, in perfetta chiave con il paradigma del mare così
presente in tutto questo dramma: il mare infido che cambia i destini degli uomini con le sue
tempeste, il mare che dà la vita (a Marina) e la morte (a Taisa), il mare, qui, che rigenera, ma, pur
rigenerando, minaccia di travolgere le fragili rive di un essere mortale con la sopraffazione che è
nascosta anche nella passione positiva.
371 V, i, 194 La rigenerazione, la rinascita, viene puntualmente lessicalizzata in un passo che ricorda, pur
nella inversione dei rapporti parentali, il dantesco «Vergine madre, figlia del tuo figlio». Giustamente
Edwards considera questo passo il punto chiave del dramma, e forse di tutti i romances di
Shakespeare: il punto in cui la figlia dà nuova vita al padre, in un legame d’amore e di rigenerazione
che è l’esatto opposto del rapporto morboso e mortale di Antioco con la figlia.
372 V, i, 204 Forse manca qualche parola in una trascrizione imperfetta.
373 V, i, 206 another life: emendamento proposto da Steevens per an other like dell’in-quarto.
374 V, i, 213 Accetto la punteggiatura emendata da Steevens rispetto a quella dell’in-quarto che legge:
fresh garments, mine own Hellicanus, dove si potrebbe intendere mine own come riferito alle vesti,
e non a Marina (senso contestualmente assai più probabile).
375 V, i, 221 Questa frase si può interpretare in due modi diversi: quello adottato nella traduzione e un
altro, proposto da molti commentatori, secondo cui il significato sarebbe «Sono quasi fuori di me per