Page 254 - Shakespeare - Vol. 4
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132 II, ii, 33 «Chi mi alimenta mi estingue».
133 II, ii, 37 Cioè, oro messo alla prova nella sua purezza attraverso uno strofinamento compiuto con
una pietra di quarzo al fine di rivelarne l’autenticità tramite il colore.
134 II, ii, 38 «Così la fedeltà è da saggiare».
135 II, ii, 39 E non il suo scudiero, come è avvenuto per gli altri cavalieri. La mancanza di uno scudiero,
insieme alla sua corazza arrugginita, connota immediatamente Pericle come cavaliere povero.
136 II, ii, 43 «In questa speranza vivo».
137 II, ii, 50 Come un carrettiere.
138 II, ii, 54 I signori del seguito inseriscono commenti acidi e umilianti, con la tipica spocchia dei
cortigiani. E il buon Simonide li metterà subito a tacere.
139 II, ii, 56 Evidente sbaglio di trascrizione della battuta, in quanto i due termini logicamente vanno
invertiti. Forse l’eco mentale di una rima trasse in inganno il copista.
140 II, ii, 58 Il torneo ha luogo fuori scena, e in ellissi. Segue, infatti, a banchetto cerimoniale a
conclusione del torneo che è stato vinto da Pericle.
141 II, iii Questa scena ha luogo evidentemente in una sala del palazzo del re.
142 II, iii, 4 Metafora araldica che trasferisce l’azione nella narrazione dell’azione (il volume), il valore
dell’atto nella sua descrizione epica, traendo riferimento dall’uso di abbellire i libri con disegni, e talora
motti, araldici adottati dall’editore o stampatore.
143 II, iii, 6 E cioè in atto, non già, o non solo, nel racconto che se ne fa. La battuta di Simonide,
barocca nelle sue volute, è una sorta di preterizione: dice di non dire quanto valore i cavalieri
abbiano dimostrato nel torneo, perché quel valore si è potuto apprezzare nella sua appena conclusa
manifestazione.
144 II, iii, 29 Abbastanza ingenui risultano questi “a parte” (si veda il successivo, di Taisa, nonché gli altri
che punteggiano tutta questa parte della scena, pur non essendo registrati da didascalie nell’in-
quarto). L’uso dell’“a parte”, tuttavia, è assai frequente in tutti i romances shakespeariani,
costituendo un accorgimento drammatico che sembra doversi considerare volutamente naïf. La
stesura appare qui, comunque, verosimilmente corrotta, soprattutto in certe goffaggini sintattiche.
145 II, iii, 32 Quest’ultima frase è chiaramente rivolta al padre, che infatti subito risponde.
146 II, iii, 35 Questa reazione minimizzante di Simonide potrebbe far pensare a una sua gelosia nei
confronti della figlia, riproponendo l’ombra del rapporto incestuoso di Antioco con sua figlia. Ma,
come vedremo, non è che il primo accenno del carattere scherzoso, quasi burlone, del buon
Simonide. Nell’arco più ampio dei romances bisogna tener conto, tuttavia, di uno schema ricorrente,
che vede il padre effettivamente (come è il caso di Antioco e della figlia, di Cimbelino e Imogene) o
scherzosamente (come nel rapporto di Prospero con Miranda, quando quest’ultima si innamora di
Ferdinando) geloso nei confronti della figlia.
147 II, iii, 42 Perfetta immagine cosmologica (tolemaica) dell’assetto politico monarcocentrico, dove il re
è il sole e tutti quelli che gli ruotano intorno sono astri di minor luce e di minor valore. La metafora
del re come sole, di ascendenza antica, è diffusa dovunque nell’opera di Shakespeare.
148 II, iii, 43 Il modesto Pericle non riconosce a se stesso la statura regale di suo padre. Ma non è solo
modestia: è anche mutamento di concezione del mondo, come indicano i due versi successivi; la
pienezza del Cosmo simbolico, garantita dalla grande rappresentazione politica-cosmologica, una
rappresentazione circolare e ciclica che non consente dubbi sui ruoli umani e sui significati del mondo,
sta recedendo di fronte alla luttuosa rappresentazione temporale e lineare, cui Pericle accenna nei
versi successivi. È un segno della crisi, costante in Shakespeare, del senso simbolico del mondo.
Pericle è, perciò, un eroe sempre alla mercé della malinconia. Simonide la noterà ai vv. 53-54.