Page 250 - Shakespeare - Vol. 4
P. 250
62 I, ii, 74 are arms: sottinteso which; e il precedente issue del v. 73 va visto come un collettivo che
regge il plurale.
63 I, ii, 122 Immagine tratta dalla cosmologia tolemaica delle stelle fisse, ognuna ruotante nella sua
sfera (di qui round) e in quella sicura (safe). È la fedeltà al ruolo che costituisce la verità di ogni
uomo nella gerarchia umana in corrispondenza con la gerarchia celeste. Il tempo non può mai
smentire tale verità, così come non può modificare le sfere di cristallo.
64 I, ii, 124 shine: probabilmente usato qui in senso sostantivale. Nella parola continua la metafora delle
stelle.
65 I, iii Anche questa scena si svolge a Tiro, come si ricava dalle primissime parole di Taliardo.
66 I, iii, 6 La fonte è probabilmente La vita di Demetrio di Plutarco, autore molto amato da
Shakespeare e utilizzato come fonte di tutti i “drammi romani”: vi si racconta del poeta Filippide che
così rispose al re Lisimaco che gli aveva chiesto quale dei suoi beni potesse regalargli: «Qualsiasi
cosa vi piaccia, mio re, basta che non sia nessuno dei tuoi segreti».
67 I, iii, 26-27 the Kings seas: è la lezione dell’in-quarto, emendata da molte edizioni moderne con the
King’s ears it e sostituzione del punto e virgola dopo please con una virgola per collegare la frase al
verso successivo (e cioè, «dovrà piacere alle orecchie del re che...»; ma l’emendamento non
sembra necessario: Taliardo scarica sui mari, anch’essi mitologicamente assegnati al dominio del re,
il compito di cui egli era stato investito.
68 I, iv La scena ha luogo a Tarso, terra desolata, paese in fin di vita per la carestia. Dopo il luogo del
peccato familiare primario (l’incesto), Pericle capita nel luogo della sofferenza collettiva più
archetipica, quella della carestia, che, secondo gli schemi mitici, deriva sempre da un qualche
peccato dei regnanti. E infatti vedremo in seguito che Cleone e Dionisa hanno, a diverso titolo, le
loro oscure colpe, anche se la causa del disastro, nelle parole di Cleone, sembra essere stata una
generale dissolutezza dei costumi.
69 I, iv, 6 Altro spunto verosimilmente proverbiale che afferisce a quella saggezza antica, e talvolta
mitica, diffusa in tutto questo dramma.
70 I, iv, 8-9 Questi due versi sono apparsi goffi, e imprecisi, a molti commentatori; eppure hanno la
tipica densità metaforica shakespeariana, e il loro senso è coerente: Dionisa porta un altro esempio,
dopo quello dei vv. 5-6, per argomentare che è meglio non parlare di dolori altrui, come ha
suggerito Cleone, perché una tale strategia, anziché diminuire le proprie pene, le accrescerebbe,
come succede ai boschi, ai folti di piante, che, sfrondati o potati, si fanno ancor più grandi.
71 I, iv, 11-17 Brano sicuramente trascritto in modo a dir poco approssimativo e con un probabile taglio
all’inizio, dove mi pare necessario inserire una reggente per quel che segue (reggente che si può
inferire, con ellissi, dal v. 12: il «chi può nascondere» rende forse implicito al v. 13 un «chi può
impedire»). Se si accetta questa ipotesi, non è più necessario emendare to weep con do weep al v.
14, né tongues con lungs al v. 15, né inserire un punto interrogativo alla fine del v. 15, né sostituire
helpers con helps al v. 17 (come in vario modo è stato fatto da molti editori). L’originale traspare a
sufficienza, e con molta forza, dalla trascrizione pur imperfetta.
72 I, iv, 21-31 Il discorso cumulativo di Cleone resta sospeso, interrotto com’è dalla esclamazione di
Dionisa.
73 I, iv, 46 La decadenza, la corruzione fisica e morale di Tarso si spingono dunque fino all’effettivo o
imminente cannibalismo. Se Pericle aveva trovato ad Antiochia la colpa capitale dell’incesto, qui sta
per incontrare una degradazione, non meno capitale, che rischia di distruggere anch’essa, e ancor
più radicalmente, i rapporti parentali primari.
74 I, iv, 48 Morire è uno dei significati del verbo to sink in Shakespeare.
75 I, iv, 63 Si veda l’analogo concetto espresso da Gertrude in Amleto, IV, vii, 162-63.