Page 246 - Shakespeare - Vol. 4
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Note







               1 ATTO I L’in-quarto nel 1609 non riporta alcuna divisione in atti e scene, ma il primo e il secondo atto
                 risultano  tuttavia  delimitati  da  una  riga  orizzontale  che  segna  una  scansione  nell’apparente
                 continuum  drammatico.  La  divisione  in  atti  appare  solo  nel  terzo  in-folio  del  1663,  mentre
                 l’individuazione  delle  scene  si  deve  a  Edmund  Malone  nella  sua  prestigiosa  edizione  delle  opere
                 shakespeariane  del  1790.  Le  edizioni  moderne  seguono,  in  genere,  la  suddivisione  stabilita  dal
                 Malone.
               2 I, didascalia La scena è verosimilmente localizzata davanti al Palazzo di Antiochia, come suggeriva
                 Malone  in  una  delle  sue  didascalie  di  scena.  La  localizzazione  si  desume  dallo  stesso  discorso  di
                 Gower.

               3 Come già indicato nella Prefazione, Shakespeare mette in scena come Coro, Presentatore e, in un
                 certo  senso,  Regista  di  questo  suo  primo  dramma  romanzesco,  il  poeta  medievale  John  Gower
                 (1330?-1408) che aveva raccontato la storia di Pericle nel suo Confessio Amantis, riprendendola, a
                 sua volta, da fonti antiche. Il metro tipico di Gower, il tetrametro giambico, nonché il suo stile e, in
                 parte, il suo stesso lessico vengono qui (e nei successivi prologhi e commenti, ma non in tutti, come
                 vedremo)  imitati  con  magia  arcaicizzante  e  con  ironia  “moderna”  dal  drammaturgo  assai  più
                 smaliziato dell’antico, moralistico, ingenuo poeta trecentesco.
               4 I, 3 Cioè, riprendendo il suo corpo mortale, soggetto alle “infermità” tipiche dell’uomo, a cominciare
                 dalla  principale,  la  mortalità.  A  ben  vedere,  questa  apparizione  di  Gower  costituisce  la  prima
                 “resurrezione” dei romances.
               5 I,  6 ember-eves:  le  vigilie  dei  quattro  periodi  (di  tre  giorni  l’uno)  di  digiuno  e  di  preghiera  che  il
                 calendario cristiano prescriveva per le quattro divisioni (stagionali) dell’anno liturgico; in italiano erano
                 indicati come le quattro tempora.

               6 I,  6  L’in-quarto  presenta  la  lezione Holydayes,  che  appare  alquanto  generica.  Theobald,  il  primo
                 grande  editore  shakespeariano  settecentesco  (la  sua  edizione  risale  al  1733),  suggerì
                 l’emendamento holy-ales, che è stato seguito da molte edizioni moderne, anche se tale composto
                 non è registrato nella lingua del tempo né successivamente. Le ales erano feste rurali, sagre.
               7 I,  8  Cioè,  per  il  suo  potere  ristoratore,  risanante.  Viene  subito  indicato,  in  tal  modo,  il  carattere
                 rigenerante di questa antica storia romanzesca. E i versi successivi lo rendono esplicito.
               8 I, 10 «E quel che è buono più antico è meglio è»: antico detto che sembra risalire addirittura ad
                 Aristotele.
               9 I,  12  Evidente  l’ironia  di  questo  antico,  semplice  Gower,  che  cerca  di  catturare  il  suo  pubblico
                 moderno e smaliziato con una professione di umiltà.
              10 I,  16  Gower  è  pronto  a  rinascere  come  cantastorie  e  a  consumare  tutta  la  sua  nuova  vita  per
                 intrattenere, e ammaestrare, il pubblico cui si rivolge.
              11 I, 17 In tal modo Gower localizza la scena.

              12 I,  20  Gower  fa  appello  alle auctoritates per  mettere  insieme  questo  racconto  che  risale  a  una
                 antichissima tradizione, ben più “antica” di lui. Tale appello era stato rivolto ai suoi lettori dallo stesso
                 vero Gower nella Confessio Amantis; Shakespeare lo trasferisce al suo personaggio fittizio, giocando
                 sul fatto che egli è a sua volta il suo autore, la sua auctoritas.
              13 I, 32 frame: qui usato nel senso di “dirigersi”, “portarsi”.
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