Page 1771 - Shakespeare - Vol. 4
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E prosegue:


               But all so soon as the all-cheering sun
               Should in the farthest east begin to draw
               The shady curtains from Aurora’s bed,
               Away from light steals home my heavy son,
               And private in his chamber pens himself,
               Shut up his windows, locks fair daylight out,
               And makes himself an artificial night.



          Una evidente analogia con le parole di Montecchi è riscontrabile anche nei
          versi  della  seconda  quartina  dello  stesso  sonetto  33,  ove  sono  descritti
          l’addensarsi  delle  nuvole,  in  funzione  ugualmente  metaforica,  e  una  fuga

          verso l’ombra:


               Anon permit the basest clouds to ride,
               With ugly rack on his celestial face,
               And from the forlorn world his visage hide
               Stealing unseen to west with this disgrace.



          Oltre a tali corrispondenze stilistico-retoriche, c’è da aggiungere che in Romeo
          e Giulietta sono rintracciabili alcuni passi formalmente assimilabili a sonetti;

          affidati  al  discorso  di  un  solo  personaggio,  come  quello  pronunciato  da
          Madonna  Capuleti  in I,  iii,  82-95,  affine  anche  tematicamente,  nella
          celebrazione  della  bellezza  maschile  e  nell’esortazione  al  connubio;  oppure
          «recitati» a due voci, come il famosissimo shared sonnet del primo incontro al
          masque fra Romeo e Giulietta in I, v, 93-106.

          Ora,  del Romeo e Giulietta sappiamo con certezza solo che fu scritto prima
          del 1597: nel primo in-quarto, di quella data, l’iscrizione del frontespizio dice
          che l’opera «hath been often, with great applause, plaid publiquely». Ma gli

          estremi  di  composizione,  fissati  dalla  critica  storica,  fanno  oscillare  la  sua
          stesura fra il 1592 e il 1595.
          Evidenti  riferimenti  alla  voga  del  sonetto  sono  presenti  anche  in  alcune
          commedie  di  questo  periodo;  in  particolare  in I due gentiluomini di Verona
          (estremi  di  composizione:  1590-1596)  e  in Pene  d’amore  perdute  (1594-

          1597), ove Shakespeare utilizza il sonetto d’amore sia come tema sia come
          forma espressiva. Nella prima commedia, largamente basata sulla concezione
          amorosa  platonica  derivata  dal Symposium  e  sulla  artificiosità  della  sua

          utilizzazione  nella  tradizione  letteraria  corrente,  del  sonetto  e  del  suo
          linguaggio sono ravvisabili frequenti forme parodistiche. E lo stesso appare in
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