Page 1776 - Shakespeare - Vol. 4
P. 1776

direzione»)  determinato  dalle  contraddizioni  lessicali  e  dalle  ambiguità
          sintattico-semantiche.
          Su  questa  linea  Booth  mette  via  via  in  luce  svariati  elementi  ricorrenti  nei
          Sonetti.  Anzitutto  la  presenza,  in  circa  due  terzi  del  canzoniere,  di  una

          separazione  logico-sintattica  dopo  la  seconda  quartina,  che  riecheggia
          l’ottava  del  sonetto  continentale  ed  è  in  opposizione  al pattern  rimatico
          inglese. Quindi le peculiarità del distico finale, anch’esso separato dalle tre
          quartine da un arresto sintattico che, interagendo con la rima baciata dei due

          versi  conclusivi,  conferisce  a  questi  ultimi  la  prerogativa  di  una  forte
          compattezza;           tale device  formale  determina,  o  rafforza,  il  carattere
          riassuntivo,  spesso  epigrammatico,  del  distico  stesso,  nel  quale  viene
          ribadito, e chiarito, il senso globale del sonetto, con l’effetto, sul lettore, di

          una  rimozione  retrospettiva  delle  eventuali  oscurità  e  di  un  assestamento
          delle relazioni intercorrenti fra le parti precedenti. L’applicazione gnomica del
          distico, aggiunge il Booth, avrebbe una funzione di ristabilimento dell’ordine e
          composizione dei conflitti analoga a quella dei finali delle grandi tragedie.

          Altri  rilievi  interessanti  del  Booth  sono:  l’individuazione  del  «tema»  posto
          quasi  sempre  al  nono  verso,  dopo  le  prime  due  quartine  in  cui  vengono
          sviluppate  analetticamente  le  «variazioni»;  il  ricorrere  di patterns  fonetici
          (non  limitati  a  rime  e  allitterazioni)  considerati  nel  loro  rapporto  di

          equivalenza  o  opposizione  con  i  significati  dei  termini  in  cui  compaiono;  il
          principio  wordsworthiano  di  somiglianza  nella  dissomiglianza  (e  viceversa)
          che regola e governa l’organizzazione interna delle strutture retoriche.
          Le  conclusioni  del  Booth  tendono  a  ribadire  il  vecchio  principio  strutturale

          secondo cui ogni sistema deve la propria coerenza interna alla relazione in cui
          sono poste le sue parti; i molteplici patterns individuati, egli afferma infatti, e
          la loro interrelazione, pur inavvertibile a una lettura non analitica, dimostrano
          come qualmente nulla sia arbitrario nella composizione poetica. Egli aggiunge

          che  i Sonetti,  così  coesivamente  strutturati  singolarmente,  presentano  una
          molteplicità di relazioni anche per quanto riguarda la loro successione, tanto
          da  convalidare  l’autenticità  del  loro  ordine  nella  sequenza.  Ciò  viene  però
          affermato di sfuggita e non dimostrato. E infatti se qualcosa manca al saggio

          del  Booth  è  proprio  un  collegamento  logico-esplicativo  dei  suoi  rilievi,  che
          offra di essi una visione unitaria.
          L’analisi del sonetto 20 di Marcello Pagnini del 1969 ( Lettura critica e meta-
          critica del sonetto 20 di Shakespeare) e quella del sonetto 129 effettuata da

          R. Jakobson e L.G. Jones nel 1970 (Shakespeare’s verbal Act in «Th’Expence
          of  Spirit»),  pur  nella  visione  parziale  che  del  canzoniere  offrono,  hanno
   1771   1772   1773   1774   1775   1776   1777   1778   1779   1780   1781