Page 1774 - Shakespeare - Vol. 4
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I «Sonetti» in prospettiva interpretativa

          Come si è accennato all’inizio, non si intende fornire in queste pagine una
          rassegna  dell’intera  bibliografia  critica  sui Sonetti  shakespeariani.  Già

          esistendo  in  Italia  una  esauriente  panoramica  su  quanto  prodotto
          anteriormente al 1965, fornita dalle rispettive introduzioni di Alberto Rossi e
          Giorgio Melchiori nell’edizione Einaudi dei Sonetti del 1965 (alle quali rimando

          per  un  approfondimento),  mi  limiterò  a  indicare,  in  una  prospettiva
          informativa tesa a integrare quella offerta dai due autori menzionati, gli studi
          più  interessanti  effettuati  negli  ultimi  lustri  da  critici  inglesi  e  italiani  e  a
          tratteggiarne le linee interpretative essenziali.
          Si può anzitutto affermare che, salvo poche eccezioni, la critica più recente ha

          abbandonato  le  sterili  elucubrazioni  su  inarrivabili  verità  storiche,
          privilegiando  variamente  un’ottica  descrittiva,  comparativa  e  la  prospettiva
          formale.  Tali  tendenze  si  possono  datare  approssimativamente  dagli  anni

          Cinquanta (ma già nel 1930 William Empson aveva trattato capillarmente le
          ambiguità  sintattico-semantiche  di  molti  sonetti  nel  suo Seven  Types  of
          Ambiguity).  Nel  ’65  Melchiori  rilevava:  «Per  comodità  di  trattazione  si
          potrebbero  scorgere  tre  indirizzi  fondamentali  nella  critica  interpretativa
          recente  dei Sonetti;  ma  si  tenga  presente  che  spesso  un  critico  segue

          contemporaneamente più d’uno di essi, così che i confini fra i tre non possono
          essere  determinati  con  precisione.  V’è  comunque  chi  considera  i Sonetti
          soprattutto  in  rapporto  alla  poesia  del  tempo  e  alla  tradizione  poetica

          passata, chi preferisce concentrare l’attenzione sulla parola e sull’immagine
          poetica, mettendo in luce l’efficacia e la qualità del linguaggio, la pregnanza
          di significato, l’intensità e la felicità espressive; chi infine risale dall’immagine
          al  simbolo  scoprendo  più  vaste  significazioni  di  valore  universale  in  questi
          testi» (pp. CLVIII-CLIX).

          In sostanza tale rilievo può considerarsi valido a tutt’oggi, se vi si aggiunge
          che l’apporto della linguistica e della semiotica ha contribuito a un ulteriore
          approfondimento del versante strutturale (nel cui ambito Winifred Nowottny,

          con  il  suo Formal Elements in Shakespeare’s Sonnets I-VI del ’52, può dirsi
          una precorritrice; mentre è opportuno ricordare anche il saggio sperimentale
          di  Samuel  Levin,  del  1964,  sul  parallelismo  poetico  in  un  sonetto
          shakespeariano).
          Con  una  ancor  cauta  attenzione  alle  forme  J.K.  Ingram  e  T.  Redpath,  nel

          commento  a  una  raccolta  di  sonetti  da  essi  curata  (Sixty-Five  Sonnets  of
          Shakespeare,  1967;  successiva  a  una  loro  edizione  completa  del  1964),
          pongono  in  evidenza  espressioni  polisemiche,  innovazioni  linguistiche,
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