Page 1779 - Shakespeare - Vol. 4
P. 1779

diritto divino al nuovo atteggiamento etico ove la virtù è anteposta al diritto
          (e  la  messa  in  discussione  shakespeariana  della  concezione  politica
          medievale,  rileva  Melchiori,  si  palesa  anche  nel Macbeth,  come  ha  ben
          dimostrato Agostino Lombardo nel suo Lettura del Macbeth; nonché in Amleto

          e in Re Lear).
          Il  sonetto  121,  il  cui  tema  verte  sull’opposizione  fra  individuo  (genuino)  e
          ottica  sociale  (falsificante),  si  rivela  organizzato  sulla  «progressione
          dall’impersonale  all’individuale  e  poi  di  nuovo  al  generale»  (p.  97),

          manifestando  la  consapevolezza  dell’autore,  a  livello  subliminale,  di  una
          sostanziale «unione antitetica dei due mondi dell’“io” e degli “altri”» (p. 97);
          così  la  condanna  del  comportamento  sociale  basato  sul  sospetto  e  la
          malevolenza, a cui si oppone il fiero «I am that I am» di derivazione biblica,

          nel distico finale si compone nella coscienza della condizione comune che è
          quella  dell’esistere,  confermando  «la  centralità  dell’uomo  nell’universo
          shakespeariano» (p. 115).
          Negli  ultimi  due  sonetti  presi  in  esame  l’area  problematica  si  sposta  dal

          pubblico  al  privato,  dal  sociale  all’interiore.  La  «meditazione  drammatica
          sull’etica del sesso» del sonetto 129 si risolve, nell’analisi di Melchiori, nella
          implicita composizione fra i due poli di una dicotomia apparente: quella fra
          vittima umana passiva e agente esterno (le forze della lussuria), che in realtà

          fanno  capo  a  un’unica  prerogativa  che  è,  come  nel  sonetto  121,  quella
          dell’esistere;  così  il  potere  della  sessualità  (in  epoca  elisabettiana  non
          menzionabile che come lussuria) viene interpretato come «quel waste, quello
          sperpero, quel consumarsi che è retaggio della condizione mortale, della vita

          umana» (p. 176).
          Infine nel sonetto 146, apparentemente fondato sul «contrasto» medievale
          Corpo/Anima, Melchiori rileva l’emersione di una struttura profonda triadica,
          ove  ai  due  elementi  oppositivi  appare  affiancato  l’Uomo:  l’Anima,  succube

          affittuaria  del  Corpo  nella  prima  quartina,  nella  seconda  si  rivela  la  sua
          vampiresca distruggitrice, in tal modo privando l’Uomo della sua totalità. «Il
          mistero  [indagato]  è  quello  della  religione,  ma  l’atteggiamento  è  quello
          dell’etica laica» (p. 208), in quanto «manca nel sonetto l’idea specificamente

          cristiana  della  redenzione»  (p.  211),  e  la  religione  shakespeariana  «non  è
          teologica»,  bensì  «antropologica,  o  più  rigorosamente  antropocentrica»  (p.
          214).
          Il  confronto  conclusivo  fra  i  quattro  sonetti  (in  tre  dei  quali  nel  distico

          compare  la  parola men)  pone  quindi  in  luce  come  da  tali  meditazioni
          drammatiche, «qualunque sia il loro punto di partenza (l’esercizio del potere
   1774   1775   1776   1777   1778   1779   1780   1781   1782   1783   1784