Page 1782 - Shakespeare - Vol. 4
P. 1782

autobiografico, in quanto afferma la «piena oggettivazione del poeta che da
          soggetto  dell’enunciazione  nell’atto  di  scrivere  si  trasforma  in  soggetto
          dell’enunciato, quando entra come attante nell’universo della scrittura» (pp.
          8-9).  L’agone  fra  attante-poeta  e  Tempo  si  pone  come  contesa  per  il

          possesso del fair youth, allo scopo antitetico l’uno di immortalarlo e l’altro di
          distruggerlo.  Mentre,  procedendo  nel  canzoniere,  il  terzo  attante  (il fair
          youth)  si  dimostra  essere  puro  «significante»,  afferma  Serpieri.  La  sua
          referenzialità  infatti  viene  continuamente  espunta  dalla  sua  assunzione  a

          archetipo, modello astratto secondo il codice platonico e secondo la funzione
          che l’arte conferisce al proprio oggetto. Ecco dunque una volta di più negata
          ogni  dimensione  di  identità  al  dedicatario  dei Sonetti,  che  non  potrebbe
          sussistere  senza  inficiare  il  senso  del  loro  messaggio.  Il  verso  «Your  name

          from hence immortal life shall have» (sonetto 81) parla dunque di un nome
          paradossalmente mai enunciato non per motivi di discrezione biografica; esso
          è  bensì  «taciuto  programmaticamente  perché  estraneo  alla  particolare
          operazione  celebrativa  in  atto»  (p.  78),  e  in  quanto  si  «costituisce  come

          funzione  attanziale  e  identità  archetipica  all’interno  di  un  agone  che
          trascende la realtà naturalistica e storica» (p. 78).
          La poesia è perciò «monumento». Ma è anche «tomba». Le significazioni di
          un costante «seppellimento» del dato naturalistico-vitale, volto a cristallizzare

          il fair youth per preservarlo dal Tempo, ricorrono in tutta la sequenza, mette
          in luce Serpieri. Ma poiché l’archetipo, per essere celebrato, deve assumere
          una  veste  pur  sempre  oggettivabile,  la  dimensione  naturalistica  (la  vita),
          occultata e superata dal processo dell’arte, viene continuamente recuperata

          dal  poeta  in  un  movimento  dialettico  di  heideggeriana  obnubilazione  che
          garantisca all’archetipo stesso «i verbi e i colori della vita».
          In definitiva il discorso di Serpieri sull’enigmatico sfuggente giovinetto, rovello
          di  intere  generazioni  di  critici,  è  l’affermazione  di  un’assenza,  almeno  sul

          piano dell’arte. L’efebo dai caratteri platonicamente ermafroditici si sottrae,
          secondo  questa  «lettura»,  all’esplorazione  biografica,  compenetrandosi  alla
          propria stessa epigrafe (la poesia). La bellezza è un simbolo significante che
          per  sopravvivere  deve  necessariamente  sacrificare  il  proprio  referente.

          Queste,  in  sostanza,  le  conclusioni  di  un’interpretazione  che  offre,
          relativamente  ai  sonetti  dell’immortalità  nell’arte,  una  visione  unitaria
          estremamente convincente.
          Sempre  del  1975  è  anche  il  mio Saggi  sulla  connotazione:  tre  sonetti  di

          Shakespeare, ove i tre sonetti scelti come campione (86, 87 e 104) vengono
          esaminati appunto nella prospettiva della connotazione (problema teorico a
   1777   1778   1779   1780   1781   1782   1783   1784   1785   1786   1787