Page 1465 - Shakespeare - Vol. 4
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visione della vita, che mostra il bene vittorioso sul male, ed i peccati di una
generazione redenti dall’innocenza di quella che ora s’affaccia al mondo. Non
quindi individui in conflitto, ma un’ampia visione di riconciliazione e speranza.
Il vigile senso del dolore, sempre presente nello Shakespeare maggiore, si fa
portatore di un’atmosfera − se non d’un messaggio − di pace, affidata alla
magia di queste favole di difficile resa teatrale, esperimenti problematici che,
nell’epoca d’oro del masque, hanno successo per l’inventiva delle soluzioni
sceniche: le quali però distraggono lo spettatore dall’«essenziale elusività»
dell’insieme (quanti segreti non rivelano invece i romances a un’attenta
lettura!). Se vogliamo vedere ne La Tempesta l’ultimo di una serie di
esperimenti volti a trovare linguaggio e struttura per nuovi contenuti −
continua il Foakes − ecco che l’addio di Prospero alla magia assume un altro
significato: «Forse, dopo aver ripudiato la magia come mezzo per i suoi fini, il
poeta si volge nuovamente alla vita reale, recuperando la forma del dramma
storico».
E a questo punto − aggiunge Baldini − l’Enrico VIII, «assai più che non La
Tempesta, può coronare l’esperienza drammatica di Shakespeare, perché
soltanto in quest’opera, insieme alla linea retta dei problemi, il poeta riesce a
ritrovare anche l’espressione netta delle fisionomie». Shakespeare dunque,
secondo Baldini, finisce in bellezza: ma non sono molti i sostenitori
dell’eccellenza complessiva del suo ultimo lavoro. Tra questi spicca, nel
nostro secolo, quel Wilson Knight che vede in esso «l’unico dramma di
Shakespeare esplicitamente cristiano». In The Crown of Life (1947), raccolta
di saggi sugli ultimi drammi, egli ne fa un’appassionata rivalutazione. L’Enrico
VIII sarebbe una summa delle precedenti Histories, «ancorché più sobria ed
essenziale, a un tempo modulata e arricchita dalla saggezza maturata» nei
problem plays del periodo intermedio; nelle orazioni di commiato di
Buckingham, Wolsey e Caterina sarebbe espressa una coerente visione della
vita.
In anni a noi più vicini, le monografie sul dramma ne studiano soprattutto gli
aspetti sperimentali e formali, e la contestualizzazione storica. Si può tuttavia
affermare che, in generale, l’Enrico VIII ha ispirato ben pochi studi di vasto
respiro. E questo, secondo Humphreys, perché «non rivela stratificazioni di
significati riposti, non stimola a sufficienza l’immaginazione, né s’impone per
superiori risorse stilistiche. Il messaggio di riconciliazione in cui si è voluto
rintracciare il tema unificante è espresso, se pur nobilmente, a livelli
razionali: essi toccan cioè più la mente che non il cuore, l’anima o
l’immaginazione». In definitiva, conclude il critico, viene mantenuta la