Page 1458 - Shakespeare - Vol. 4
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dramma è difficile non farsi contagiare dall’ostilità dei nobili nei confronti del
«molto reverendo Cardinale di York» (la «palla di lardo», il «monumento di
superbia»). Al di là delle accuse specifiche che gli vengono mosse, la sua
stessa onnipotenza basta a metterlo in cattiva luce come villain del dramma.
È stato scritto che Wolsey avrebbe potuto diventare − se non ci fosse stato
l’intervento di Fletcher, o di Massinger o di chissà chi altro − «il più grande
villain di Shakespeare dopo Jago». Ma chi dice che fosse questa l’intenzione
del poeta? Al contrario, già nella seconda scena ci viene fatta sentire la
campana di Wolsey, mettendo in luce qualcosa di più dei suoi talenti di
navigato politico; e se egli adotta misure vessatorie e impopolari non agisce
da solo, e comunque si muove sul piano della legalità. Possiamo quindi
concedergli il beneficio del dubbio.
Nella scena del convito, il Cardinale appare in veste di anfitrione munifico, di
bon vivant che sa apprezzare le belle donne, ridere e scherzare. Non ci
lasciamo incantare, ma dobbiamo ammettere che al processo di divorzio
Wolsey replica alla Regina con una misurata dignità che dà una certa forza
alle sue argomentazioni. Lo stesso vale per la visita fatta con Campeggio agli
appartamenti di lei − un’ingrata missione. La scena è drammatica proprio
perché è impossibile determinare se i due prelati sono o non sono sinceri,
nell’atto stesso in cui saremmo portati, nell’impari confronto, a fare nostra la
diffidenza della Regina. La statura morale di Wolsey non ne esce accresciuta;
è bensì vero che nella scena che segue − quella della caduta − crolla di colpo
la statura morale dei suoi nemici, che questa caduta pregustano, carichi
d’odio, senza aver nulla rischiato per precipitarla. Se questi sono i suoi
oppositori − quattro avvoltoi in attesa del loro momento − si deve arguire
che il Cardinale è davvero, nel bene e nel male, più grande di loro.
Non mancano sintomi premonitori per questa caduta, dovuta peraltro a uno
scherzo della sorte. Ma la hubris dell’uomo, la luciferina superbia, son tuttora
allo zenith. È Wolsey che ha deciso chi il Re dovrà sposare, ma è a questo
punto che Enrico entra in scena. Ai suoi sarcasmi il Cardinale replica, incerto,
con dignità circospetta; di fronte a prove schiaccianti comprende di esser
finito. Non gli resta che tener testa con orgoglio ai suoi nemici che si fan sotto
come una muta di cani, e cadere in piedi, gettando la maschera di falsa
umiltà dell’uomo di chiesa. Ed anche questa è una lezione di stile. Rimasto
solo con se stesso, alla meditazione filosofica sull’incerto favore dei principi e
la caduta di Lucifero subentra, con l’arrivo di Cromwell, una conversione vera
e propria: la presa di coscienza dell’eroe tragico.
Conversione così istantanea e radicale da riuscire incredibile. Altra è la forma