Page 12 - Shakespeare - Vol. 4
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Marina, così chiamata perché nata in mare. Sempre T.S. Eliot, che fu ispirato
dal Pericle a scrivere una poesia di grande suggestione intitolata Marina,
doveva cogliere poeticamente la presenza del mare in questo dramma:
«leggendo Pericle, io ho dal principio alla fine il senso dell’odore pervasivo
dell’alga marina».
Ma torniamo alla nuova intenzione narrativa, cui si è sopra accennato. Essa
risulta con tutta evidenza già nella scelta di Gower come coro, che introduce,
commenta e racconta brani dell’antica storia nel Pericle. E, in tutti i
romances, al modo mimetico, quello della rappresentazione scenica delegata
ad attori-personaggi che interagendo fra di loro portano avanti una «storia»,
si alterna un modo diegetico, quello della presentazione, da parte di un
personaggio particolare, di segmenti di quella «storia» (secondo quella
distinzione dei modi − il drammatico e il narrativo − già additata da
Aristotele nella Poetica, 3, 48a, 20-24). Lo spettatore viene, pertanto,
continuamente immesso e allontanato dalla illusione scenica. Il modo
narrativo costituisce un arricchimento della «storia» − nei suoi sviluppi, nelle
sue anse e nelle sue implicazioni − e, allo stesso tempo, una sua cesura o
sospensione. La voce che regge le fila del tutto, Gower nel Pericle o Prospero
nella Tempesta, porta il pubblico dentro e fuori dall’illusione di realtà (come
nota Barbara Mowat, 1976, p. 59). Si effettua così, da una parte, una messa
a nudo del drammatico, dei suoi elementi costitutivi, convenzionali,
archetipici, e quindi un distanziamento (che si alterna al «primi piani»
dell’azione mimetica: e tale alternanza riduce o annulla lo spessore
psicologico dei personaggi), e, dall’altra, una sublimazione delle passioni (sia
tragiche che comiche: ed è un’altra via d’uscita dal livello psicologico). L’unità
di queste opere diventa, così, «essenzialmente “narrativa”», come suggerisce
ancora la Mowat, perché «la illusione drammatica è ripetutamente interrotta
da intrusioni narrative, da elementi spettacolari e da altri improvvisi disturbi
della distanza estetica» (p. 99). Anche Hoeniger è d’accordo su questo punto:
«Il dramma è la narrazione di Gower in forma visiva [...]. La tecnica
dominante del Pericle è quindi indiretta e narrativa fin dall’inizio [...] il
drammaturgo sta deliberatamente mirando ad un effetto che è qualcosa di
diverso dal drammatico” (pp. LXXVII-LXXVIII). Un effetto diverso perché anche
narrativo, io direi, nonché visivo nelle pantomime, e musicale-coreografico in
più punti. Tanto che Frye è arrivato a parlare del dramma come di «una delle
prime opere», fatto come è del recitativo di Gower, di danze, musiche, cortei,
pantomime (pp. 28-29).
Ma tale combinazione di modi e di forme è legata anche alla natura stessa