Page 14 - Shakespeare - Vol. 4
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Tempesta. Il  tema  dominante  diventa  quello  di  una  perdita  −  di  qualche
          genere,  e  per  qualche  ragione  o  colpa  −  da  parte  del  padre  della  propria
          figlia, il cui nome è sempre immediatamente simbolico (cfr. Pericle e Marina
          in questo dramma, Cimbelino e Imogene in Cimbelino, Leonte e Perdita nel

          Racconto d’inverno), oppure della perdita di entrambi, padre e figlia, tagliati
          fuori dal mondo come auspicava Lear con Cordelia (cfr. Prospero e Miranda
          nella Tempesta). Alla perdita fa sempre, infine, seguito il ritrovamento, e la
          rigenerazione del padre tramite la figlia. Ci sono anche spose, spose perdute

          perché per diverse ragioni credute morte (come Taisa nel Pericle o Ermione
          n e l Racconto  d’inverno),  e  anche  con  loro  i  protagonisti  maschili  fanno
          l’esperienza  del  ritrovamento  e  del  ristabilimento  di  un  rapporto  pieno  e
          vitale, in questo caso il casto rapporto matrimoniale. Ma lo schema primario

          riguarda i rapporti dei padri con le figlie.
          Lo schema si presenta in modo esemplare nel romance inaugurale, il Pericle,
          che  anche  agli  occhi  della  Mowat,  pur  ancora  dubbiosa  sulla  paternità
          shakespeariana,  costituisce  rispetto  agli  altri romances «come  un  tema

          musicale  rispetto  alle  sue  variazioni»,  proponendo  «in  toni  netti,  chiari  e
          semplici i ritmi e molti dei motivi che verranno variati meravigliosamente» nei
          drammi successivi (p. 95). Dal punto di vista compositivo, poi, il Pericle ha,
          come ben nota Frye, una «struttura processionale», con scena che segue a

          scena lungo un asse narrativo centrale, cosicché «l’azione è deliberatamente
          lineare, procedendo di luogo in luogo e da episodio a episodio» (pp. 27-28).
          Tale  andamento,  pur  tipico  di  tutta  l’opera  shakespeariana,  a  partire  dai
          drammi storici, qui si ostende con una purezza assoluta, formando quasi una

          serie  di tableaux,  che  tutti  insieme  raccontano  la  parabola  di  una  storia
          arcaica. Una storia concepita come vicenda paradigmatica dell’eroe positivo,
          e immutabile, per quanto egli sia sottoposto a dure prove, sia da parte degli
          uomini (l’incestuoso Antioco, l’invidiosa Dionisa) sia, ancor più, da parte della

          Fortuna  (che  ripetutamente  assume  le  sembianze  della  tempesta,  da  cui
          l’eroe  è  travolto,  dirottato  e  infine  colpito  nei  suoi  affetti  più  cari).  La
          successione delle scene è pertanto più che una catena di cause ed effetti,
          mutuando  dalla  fonte  primaria,  la Historia  Apollonii  regis  Tyri (con  ogni

          probabilità  non  conosciuta  direttamente  da  Shakespeare,  ma  seguita  nel
          rifacimento  di  Gower  e  nella  traduzione-parafrasi  di  Twine),  quell’antico
          cronotopo narrativo dei romanzi greci che Bachtin ha definito cronotopo del
          «mondo  altrui  nel  tempo  d’avventura»,  un  tempo  fatto  di  segmenti  che

          corrispondono alle singole avventure e in cui domina la pura casualità, e cioè
          la logica della coincidenza fortuita (Bachtin, pp. 236-38).
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