Page 17 - Shakespeare - Vol. 4
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sua finzione, chiede al pubblico (come il Coro dell’Enrico V) la cooperazione
indispensabile della sua illusione e poi quella illusione lievemente incrina. Egli
entra ed esce dalla favola, e in tal modo è il grande regista di questo primo
romance, così come Prospero lo sarà dell’ultimo.
Rimando alle note per indicazioni puntuali sui vari procedimenti di Gower, che
è a mio parere la vera grande invenzione del Pericle. Qui vorrei concludere
con una osservazione più generale. Gower introduce, commenta, e domina
come dall’alto tutti gli sviluppi del dramma. Come il Gower storico, egli
moralizza anche la sua favola, ma, ben più di quel Gower, non si limita a
trarre una semplice morale dalla materia narrata e a opporre l’amore casto di
Pericle all’amore perverso di Antioco o la purezza di Marina alla degradazione
del bordello. Il suo è uno sguardo dall’alto, un occhio «divino» che, come il
sorriso della Pazienza nella celebre immagine di V, i, 138-39, espugna tutte le
vicissitudini terrene in una prospettiva che allontana e sublima ogni passione.
A partire dal Pericle, il teatro di Shakespeare tende a non immettere più lo
spettatore dentro al tumulto delle passioni, optando piuttosto per una loro
sublimazione. Sublimazione che si dà sia al livello del rappresentato (la storia
teatralizzata e in parte narrata) sia a quello del rappresentante (il congegno
formale della favola e della scena, nonché gli stessi mezzi della illusione
teatrale). E come Gower entra ed esce dalla favola, così il pubblico è
chiamato ad avvicinarsi a essa e ad allontanarsene. La distanza-vicinanza del
pubblico è anch’essa, pertanto, una forma di sublimazione delle passioni.
Shakespeare, ormai, andava oltre il tragico, e oltre il comico: guardava, e
mostrava, la favola umana da vicino e da lontano.
Nota sul testo e sulla traduzione
Come si è visto, qualsiasi edizione del Pericle non può che basarsi sul
pessimo primo in-quarto che fu pubblicato da Gosson nel 1609. In tali
condizioni, il testo è destinato a rimanere per sempre confuso, provvisorio:
una sorta di «dramma nascosto», come lo definisce Edwards, occultato da un
velo di imprecisioni, di fraintendimenti e di travisamenti di quella redazione
originale che possiamo presumere smagliante sia nella costruzione che nel
linguaggio.
Il testo che qui si presenta è fondamentalmente quello offerto da Edwards
nella edizione Penguin del 1976. Ho modificato, tuttavia, non solo la
punteggiatura, in più punti, ma anche certe soluzioni sintattiche e alcune
scelte lessicali, evitando il più possibile le normalizzazioni non convincenti di