Page 1135 - Shakespeare - Vol. 4
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di personaggi e situazioni del grande Shakespeare tragico. Non era neppure
          la  prima  drammatizzazione  del  racconto  del  cavaliere.  Nel  settembre  del
          1566, durante una visita a Oxford della regina Elisabetta, gli studenti di Christ
          Church avevano intrattenuto la sovrana e il seguito con Palamon and Arcyte

          del  drammaturgo  “colto”  Richard  Edwards,  uno  della  generazione  che
          precedette  gli  University  Wits.  Il  testo  non  ci  è  arrivato,  ma  testimonianze
          dicono che fu un grande successo e che sia la corte che gli studenti furono
          strabiliati dallo “spettacolo” con belle canzoni e sorprendenti tocchi realistici,

          come la pira su cui venne bruciato il corpo di Arcite. Un dramma intitolato
          Palamon and Arsett fece parte anche del repertorio della compagnia di Milord
          Ammiraglio  e  secondo  il  diario  dell’impresario  Philip  Henslowe  fu
          rappresentato  almeno  quattro  volte  nel  1594.  Anche  questo  dramma

          purtroppo  è  scomparso  senza  lasciare  traccia.  I  precedenti,  comunque,  ci
          dicono che i nostri lavorarono sul sicuro e s’erano scelti una «favola antica»
          che era familiare al pubblico di conto e avrebbe appassionato e intrattenuto
          anche quello di meno conto.

          Su  come  Shakespeare  e  Fletcher  collaborarono  o  si  divisero  il  lavoro  non
          avremo mai nessuna certezza, ma possiamo presumere che si siano accordati
          su  un  piano  e  poi  divisi  gli  episodi  e  i  temi  secondo  le  preferenze  e
          “specialità” individuali. Che il lettore si trovi in presenza di due stili diversi fu

          notato già da Charles Lamb nel 1808. La versificazione di Fletcher è facile,
          dolce,  scorrevole  e  staccata;  le  immagini  seguono  l’una  all’altra  in  forma
          lineare. La sintassi dell’ultimo Shakespeare è contorta e nodosa, i “grappoli
          d’immagini” s’inseguono da un verso all’altro, s’interrompono e s’accavallano

          come in scatole cinesi. Sulla base di analisi linguistiche e stilistiche i filologi
          sono  arrivati  ad  attribuire  a  Shakespeare  tutto  il  primo  atto,  la  prima  e
          seconda scena del terzo e la maggior parte del quinto. A Fletcher il secondo
          atto, le scene dalla terza alla sesta del terzo, le prime due del quarto e la

          scena  seconda  del  quinto.  Rimane  incerta  l’attribuzione  delle  due  scene  in
          prosa: la prima del secondo atto e la terza del quarto. Non sapremo mai a chi
          toccò la revisione finale del dramma per correggere eventuali discordanze e
          incoerenze. Per ragioni temporali dovremmo attribuirla a Fletcher, ma visto

          che non mancano ai Cugini incongruenze simili a quelle notate nel Racconto
          d’inverno, può essere anche toccata a Shakespeare. Comunque, anche se ci
          teniamo  al  minimo,  vale  a  dire  il  primo  e  il  quinto  atto,  Shakespeare  ha
          scritto  almeno  il  quaranta  per  cento  dell’opera  e  potremmo  dire  che,

          scrivendo  le  parti  tragiche  e  solenni  all’inizio  e  alla  fine,  abbia  fornito  una
          solida crosta esterna e di sostegno alla pizza, lasciando a Fletcher il compito
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