Page 1139 - Shakespeare - Vol. 4
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sboccate  commedie  della  Restaurazione.  Non  fa  meraviglia  che  ai  critici
          dell’Inghilterra vittoriana dispiacesse tanto il sub-plot della Figlia. Confermava
          la loro opinione di Fletcher, già accusato di decadente scurrilità.
          Il  quinto  atto  segue  abbastanza  fedelmente  la  fonte.  Arcite,  Palamone  ed

          Emilia offrono voti e preghiere agli altari dei loro dèi protettori, Marte, Venere
          e  Diana  rispettivamente,  e  ottengono  in  risposta  simbolici  “miracoli”  da
          spettacolare  teatro  neoclassico,  che  tutti  loro  interpretano  come  graziose
          approvazioni. Nel frattempo la seconda scena offre il lieto finale del sub-plot

          con gli amplessi della Figlia e del suo Corteggiatore travestito da Palamone.
          La parte tragica continua nel torneo che è vinto da Arcite, protetto da Marte.
          Palamone e i suoi cavalieri si avviano al patibolo, ma un Messaggero ferma la
          mano del boia e Piritoo sopraggiunge affannato a raccontare come Arcite sia

          caduto  sotto  un  cavallo,  primo  dono  di  Emilia,  e  sia  in  fin  di  vita.  I  cugini
          ritrovano l’antica amicizia, si perdonano a vicenda e si dicono addio e, prima
          di spirare, Arcite riconosce il suo torto: Palamone era nel suo giusto diritto
          per aver visto Emilia per primo. Teseo commenta su come s’era compiuta la

          volontà degli dèi. Marte aveva dato ad Arcite la vittoria delle armi e Venere a
          Palamone  la  vittoria  dell’amore.  Conclude  poi,  con  amarezza  tutta
          shakespeariana,  che  agli  uomini,  zimbelli  degli  dèi,  non  tocca  ribellarsi  al
          destino, ma solo accettarlo con dignità.

          Decisamente I  due  nobili  cugini  ha  gli  elementi  d’intreccio  e  di  spettacolo
          caratteristici  degli  ultimi romances  di  Shakespeare,  ma  benché  si  concluda
          con il perdono e la riconciliazione, il lieto fine è guastato dalla morte di uno
          dei protagonisti. Inoltre la mestizia e le cupe intimations of mortality con cui

          si  apre  il  primo  atto  e  si  chiude  il  quinto,  fan  pensare  a  una  ricaduta
          dell’autore  (l’autore  di  questi  due  atti,  intendo)  nella  malinconia  e
          pessimismo del periodo che si chiama dei problem plays. È appunto con uno
          di questi, Troilus and Cressida, che pure è una tragicommedia con un’opera di

          Chaucer tra le fonti, che The Two Noble Kinsmen presenta le maggiori affinità
          nel sentimento del finale. Lo spettatore torna a casa dopo aver visto la morte
          di  Ettore  sulla  scena,  il  tradimento  di  Cressida,  il  congedo  di  Pandaro,  con
          addosso un gran senso di malinconica amarezza e dell’ineluttabilità del fato.

          Così  per The Two Noble Kinsmen che aspetta d’essere letto e studiato con
          maggiore  attenzione  di  quanta  ne  abbia  ricevuto  finora  e  resta  aperto  a
          svariate interpretazioni.
          Prima  che  i  puritani  chiudessero  i  teatri,  il  dramma  deve  aver  avuto  il

          successo di pubblico e di cassa che i King’s Men avevano sperato. Ci sono
          prove di almeno due rappresentazioni, una nel 1619 e una nel 1625. Dopo la
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