Page 1137 - Shakespeare - Vol. 4
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L’atto si conclude con il corteo funebre delle tre regine che hanno recuperato i
          corpi dei loro mariti e con musica e canzoni li accompagnano alla sepoltura.
          Nel secondo atto entra in scena l’eroina della commedia patetica: la Figlia del
          Carceriere  di  Atene  che  ha  in  custodia  Palamone  e  Arcite.  Il sub-plot  della

          Figlia  del  Carceriere  che  s’innamora  di  un  prigioniero,  lo  libera  e  poi
          impazzisce per conflitto di lealtà tra padre e amante, è invenzione dei nostri
          autori.  Nella  fonte,  Chaucer  dice  semplicemente  che  Palamone  fugge  di
          prigione  con  l’aiuto  di  “un  amico”,  senza  dare  particolari.  L’amore  tra  il

          prigioniero  e  la  Figlia  del  Carceriere  è  un  motivo  folcloristico  comune  e
          abbastanza frequente, ma non risulta che la storia sia mai stata messa per
          iscritto  prima  di  Shakespeare  e  Fletcher.  Personalmente  l’ho  cercata  nella
          novellistica  italiana  e  nelle Mille e una notte,  senza  successo.  C’è  forse  un

          legame,  anche  se  un  po’  tenue,  con  il  mito  di  Arianna  che  aiuta  Teseo  a
          uscire dal labirinto in cui l’eroe le ha ucciso il fratello. Shakespeare conosceva
          bene la traduzione del North delle Vite di Plutarco e aveva usato la Vita di
          Teseo come fonte per Sogno d’una notte di mezza estate. Visto che Teseo,

          duca  d’Atene,  ricompare  nei Due  nobili  cugini,  giudice  in  questioni  di
          cavalleria e amore cortese, non è poi così improbabile che Shakespeare si sia
          ricordato anche del mito d’Arianna.
          Palamone  e  Arcite,  sul  balconcino  sopra  il  palcoscenico  che  rappresenta  la

          finestra della loro torre-prigione, parlano liricamente della loro amicizia, come
          nel primo atto, finché non vedono Emilia nel giardino del palazzo e entrambi
          s’innamorano di colpo. Palamone che tra i due è descritto come “l’amante”
          (Arcite è “il guerriero”) ha una crisi di gelosia quando sente che anche Arcite

          desidera Emilia e reclama il suo giusto diritto a un amore esclusivo perché
          “l’ha vista prima”. Per quanto ridicolo possa sembrare a noi, le regole della
          cavalleria prendevano in considerazione anche una rivendicazione del genere,
          oltre alla nobiltà di nascita o d’imprese eroiche per stabilire una precedenza,

          e  il  pubblico  del  Blackfriars  queste  regole  le  conosceva  bene.  I  due  cugini
          sono pari in tutto − nobili principi, prodi cavalieri, eroici guerrieri, fedeli amici,
          virtuosi e patriottici gentiluomini − e infatti una debolezza del dramma è che
          i  protagonisti  sono  quasi  scambiabili.  Perfino  Emilia,  quando  verrà  il  suo

          turno, li troverà entrambi così attraenti, da non riuscire a decidersi per uno
          dei due. Gli autori cercano di rimediare facendo Arcite più basso di statura e
          assegnando  all’uno  il  ruolo  di  Fante  di  cuori  e  all’altro  quello  di  Fante  di
          picche,  ma  il  loro  pari  grado  di  nobiltà,  parentela  e  meriti  è  alla  base  di

          questa  tragedia  che  fa  ridere,  perché  la  questione  può  essere  risolta  solo
          dalla forza delle armi, dall’ordalia. Se c’è una disputa inconciliabile tra pari
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