Page 97 - Shakespeare - Vol. 3
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Entra Amleto.
AMLETO
Essere, o non essere, è questo che mi chiedo: 30
se è più grande l’animo che sopporta
i colpi di fionda e i dardi della fortuna insensata,
o quello che si arma contro un mare di guai
e opponendosi li annienta. Morire... dormire,
null’altro. E con quel sonno mettere fine
allo strazio del cuore e ai mille traumi
che la carne eredita: è un consummatum
da invocare a mani giunte. Morire, dormire, −
dormire, sognare forse − ah, qui è l’incaglio:
perché nel sonno della morte quali sogni
possano venire, quando ci siamo districati
da questo groviglio funesto, è la domanda
che ci ferma − ed è questo il dubbio
che dà una vita così lunga alla nostra sciagura.
Perché, chi sopporterebbe le frustate e le ingiurie del tempo,
il torto dell’oppressore, l’oltraggio del superbo,
le angosce dell’amore disprezzato, le lentezze della legge,
l’insolenza delle autorità, e le umiliazioni
che il merito paziente riceve dagli indegni,
quando, da sé, potrebbe darsi quietanza
con un semplice colpo di punta? Chi accetterebbe
di accollarsi quelle some, e grugnire
e sudare sotto il peso della vita,
se non fosse il terrore di qualcosa
dopo la morte, la terra sconosciuta
da dove non torna mai nessuno, a paralizzarci
la volontà, e farci preferire i mali che abbiamo
ad altri di cui non sappiamo niente? Così
la coscienza ci rende codardi, tutti,
e così il colore naturale della risolutezza
s’illividisce all’ombra pallida del pensiero
e imprese di gran rilievo e momento
per questo si sviano dal loro corso
e perdono il nome di azioni. Basta ora.