Page 922 - Shakespeare - Vol. 3
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ragioni  del  presunto  “altro  da  sé”  −  la  carnalità  e  la  prevaricazione  −  e
          l’assunzione, da parte di Isabella, del ruolo dell’eroina che non può cedere,
          ma  la  cui  “assolutezza”,  ad  esempio  nei  riguardi  del  fratello,  ha  del  pari
          elementi spuri, di crudeltà o insensibilità.

          Lo scontro si sposta quindi all’interno delle due vittime, fra Isabella e Claudio,
          quando questi è indotto a sperare, dalla compromissione della sorella, nella
          possibilità di vita: un motivo basilare del dramma, già accennato all’inizio (I,
          i, 44-45), che sfocia poi in due memorabili meditazioni sulla vita (III, i, 4-41, il

          «Reason thus with life» da parte del Duca) e sui terrori della morte (ivi, 117-
          131, «Ay, but to die, and go we know not where» di Claudio), verso la fine
          della parte propriamente drammatica dell’opera.
          Nei particolari, il dramma si apre sul motivo della sostituzione frettolosa, e

          non spiegata, del Vicario al Duca, che prelude ad uno stato di sospensione;
          ma già in I, ii, una scena “bassa” e concitata fa sapere della repressione in
          atto  e  dell’avvenuta  condanna  di  Claudio,  il  quale  imposta  il  problema
          dell’arbitrarietà del potere («on whom it will, it will; / On whom it will not, so;

          yet still ’tis just», vv. 120-121) e della restrizione (restraint) conseguente alla
          troppa  libertà,  ma  spiega  anche  le  levità  della  sua  trasgressione  («upon  a
          true contract / I got possession of Julietta’s bed», vv. 140-141 sgg.) di contro
          alla “tirannia” implicita nel rigore del neo-governante attratto dalla “nomea”

          (vv.  152-166).  Il  Duca  spiegherà  in  maniera  un  po’  speciosa  e  poco
          convincente il perché della sua “assenza” (I, iii, 21 sgg.), insistendo sul fatto
          della  “libertà”  concessa  (scope)  che  non  può  esser  lui  a  togliere,  e  sulla
          messa  alla  prova  di  Angelo;  e  giustamente  Lucio  (in I,  iv,  50  sgg.)

          commenterà la stranezza e vaghezza della sua decisione e la disumanità di
          Angelo, che al posto del sangue ha neve acquosa nelle vene e non sente lo
          stimolo  dei  sensi.  Costui,  a  sua  volta,  con  Escalo  che  proletticamente  si
          domanda  come  si  sarebbe  comportato  al  posto  di  Claudio,  discetta  sul

          carattere impersonale e astratto della Giustizia (II, i): ma nel seguito della
          stessa scena, risulta che a livello “basso” la giustizia non è poi così rigorosa,
          lascia aperti dei varchi, e insomma ha due pesi e due misure.
          Così si sono preparate le grandi scene di confronto: Angelo e Isabella in II, ii,

          con scambi di battute sulla legge umana e divina («Condemn the fault, and
          not the actor of it?», v. 37, si chiede Angelo; Isabella ribatte con un discorso
          sulla clemenza, vv. 57-63, e sul Redentore, vv. 67-79, ma ancora è invocata
          l’impersonalità: «It is the law, not I, condemn your brother», v. 80), con lo

          scherno che Isabella riserva all’autorità degli uomini, simili a scimmie stizzose
          (vv. 111-124), il suo richiamo ai sentimenti («Go to your bosom», v. 137), e
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