Page 927 - Shakespeare - Vol. 3
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che dicono e non dicono o dicono il contrario di quel che dicono (IV, ii, 186-
          191;  e IV,  v,  1),  mentre  il  soliloquio  di  Angelo  sgomento  dei  suoi  stessi
          misfatti,  ma  sicuro  dell’impunità  per  la  sua  posizione  autorevole  (IV,  iv,  18
          sgg.), riporta per un momento ai temi e alle tensioni drammatico-psicologiche

          della prima parte.
          Il culmine delle trame del Duca si ha nell’Atto V, un’unica, lunga scena, che è
          come un drammetto in miniatura, anzi una sorta di ripetizione e compendio
          (oggi diremmo una mise en abîme) del dramma stesso. All’arrivo solenne (in

          contrasto con quanto detto in I, i, 67-72) il Duca fa ancora l’elogio di Angelo,
          ascolta la denuncia di Isabella, ma l’accusa di pazzia, poi di complotto, e la fa
          arrestare; ascolta l’accusa di Mariana (anche lei travestita, e che ai vv. 224-
          227 parla un po’ come Polonio nell’Amleto), ma la consegna − assentandosi

          ancora  una  volta,  come  aveva  fatto  all’inizio  del  dramma  −  allo  «scope  of
          justice» (v. 233), all’ampio raggio della giustizia che Angelo reclama; infine
          ricompare travestito da frate, subendo le contumelie di Escalo e Lucio, fino al
          momento in cui, svelato il travestimento, sconfessa pubblicamente Angelo.

          Questi invoca dignitosamente l’esecuzione; ma occorre procedere, secondo la
          fonte, al matrimonio con Mariana e quindi alla condanna a morte di Angelo,
          per  attuare  il  principio  dell’occhio  per  occhio  e  della  «misura  per  misura»
          (esplicitamente enunciato ai vv. 406-408). Ma il Duca continua a mentire a

          Isabella  sulla  morte  di  Claudio  (vv.  386-396:  la  crudeltà  dei  potenti  non
          sembra aver limite), e tutto avviene in questa conclusione “teatrale”, meno
          che  l’applicazione  del  principio  di  giustizia,  del  «measure  for  measure»:
          Mariana invoca il perdono di Angelo e ottiene, in quello che è stato definito

          un vero anti-climax del dramma, che Isabella supplichi la grazia in ginocchio
          anche lei. Isabella − che crede ancora avvenuta l’esecuzione di Claudio − fa
          di  più:  in  parte  giustifica  Angelo,  anche  a  scapito  dello  stesso  fratello  (vv.
          442-451), tradendo una qualche “complicità” col persecutore, e la sua resa

          completa al volere, o alla Grazia, del Duca.
          La  scoperta  finale  −  con  un  ennesimo coup  de  théâtre,  ed  il  secondo
          svelamento  d’un  personaggio  travestito  −  che  Claudio  è  vivo  porta  ad  un
          perdono  generale,  che  include  Angelo,  Escalo,  il  Bargello,  Giulietta,  perfino

          Bernardino: «I find an apt remission in myself» (v. 495), commenta il Duca,
          che offre a Isabella di sposarlo, e fra tanti veri colpevoli e malfattori trova
          giusto condannare solo il povero Lucio, per le sue calunnie e i suoi commenti,
          che  (come  già  in  precedenza)  han  fatto  da  controcanto  sbeffeggiatore  e

          trasgressivo  a  tutto  questo  mini-dramma  del V  Atto:  «Slandering  a  prince
          deserves it» (v. 520).
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