Page 925 - Shakespeare - Vol. 3
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È stato osservato a tale proposito che in epoca elisabettiana e giacomiana
          l’illibatezza  conventuale  era  guardata  con  sospetto,  e  così  la  rinuncia  al
          matrimonio e al dovere della riproduzione (ritorneremo su questo); mentre
          sul piano più strettamente psicologico − che noi oggi diremmo psicanalitico −

          già  Robert  Burton  nella  sua Anatomy  of  Melancholy  (1621)  avrebbe  scritto
          che la rinuncia a Venere crea danni mentali e fisici, annebbiamenti e neurosi
          e tragiche conseguenze, quanto l’intemperanza di Venere.
          Questi  aspetti  esplicitano  il  carattere  estremamente  problematico,

          antinomico, della prima parte del dramma. È la scoperta di ciò che l’uomo e
          la  donna  nascondono  nell’animo,  la  constatazione  di  ciò  che  comportano
          opposti  intendimenti  e  pulsioni,  a  portare  a  questo  punto  allo  stallo  e
          all’impasse:  stante  che  le  rispettive  posizioni  appaiono  per  loro  natura

          inconciliabili, il naturale sviluppo porterebbe alla tragedia.
          A  questo  punto,  però,  e  qui  comincia  la  seconda,  diversissima  parte  del
          dramma,  interviene  direttamente  il  Duca  travestito  («Vouchsafe  a  word,
          young  sister,  but  one  word»,  III, i, 153). Sarà da parte sua un profluvio di

          interventi e di parole, che cambiano radicalmente andamento e natura del
          dramma, trasformando il tragico potenziale in esibizione e gioco meramente
          teatrali.
          Si è detto che da lì non solo prevale la prosa sentenziosa, con la presenza di

          versi  dozzinali  e  mutili,  distici  rimati  (III,  ii,  242-263),  ma  predominano  la
          figura e l’operato del Duca travestito il quale la fa da padrone, si mette a
          manovrare i fili dell’azione e i personaggi come marionette al suo comando:
          personaggi  che  si  spogliano  della  volizione  e  passionalità  che  li  ha  finora

          contraddistinti. Da dramma di travolgenti e lacerate, contraddittorie pulsioni,
          Measure for Measure diventa dramma d’azione dove, com’è stato variamente
          osservato, non sono più gli agenti umani o i personaggi drammatici a tenere
          il campo, bensì gli intrighi, gli accorgimenti, gli espedienti (devices) d’un gran

          maestro della rappresentazione teatrale; dove i coups de théâtre appaiono di
          prevalente interesse.
          È vero che il Duca deve intervenire per sbloccare l’azione: ma lo fa con fin
          troppo gusto per la manipolazione degli attori nel dramma convenzionale che

          instaura,  ergendosi  a  regista  di  trame  che  dispone  dei  loro  destini  senza
          preoccuparsi  delle  conseguenze,  a  burattinaio  che  sembra  godere  delle
          traversie cui sottopone tutti i personaggi, colpevoli o innocenti che siano.
          Sappiamo che potrebbe risolvere tutto subito manifestandosi e asserendo il

          suo  potere  sovrano,  e  lui  stesso  lo  riconoscerà  («you  may  marvel  why  I
          obscur’d myself / ... and would not rather / Make rash remonstrance of my
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