Page 920 - Shakespeare - Vol. 3
P. 920

comedies,  sono  anche  state  definite,  per  la  prevalenza  d’una  cupezza  che
          contrasta  col  tono  di  commedia  un  po’  forzatamente  o  meccanicamente
          asserito  alla  fine;  drammi  “dialettici”  che  comunque  resistono  ad  una
          interpretazione univoca dei conflitti, a mezza strada, anche strutturalmente,

          fra la rapinosità della tragedia e la teatralità della commedia, in cui temi e
          motivi  di  contrasto  vengono  contrappuntati  senza  indicazione  precisa  della
          loro  positività  o  negatività,  in  cui  modi  espressivi  e  stati  d’animo  dei
          personaggi oscillano fra l’ineluttibilità del confronto e la scarna, puramente

          meccanica possibilità di soluzione. Fra drammi di questo tipo, come Troilo e
          Cressida  e Tutto  è  bene  quel  che  finisce  bene,  Measure  for  Measure  si
          distingue  per  la  gravità  delle  sue  divisioni  e  antinomie,  per  il  tono  di
          corruzione  “alta”  e  “bassa”,  degli  animi  come  degli  ambienti,  che  vi

          predomina, per il carattere ossessivo delle impostazioni e dei dilemmi, per il
          senso  di  sessualità  repressa,  sviata  o  abnorme  che  lo  pervade,  per  la
          presentazione  ambivalente  o  ambigua  dei  problemi  della  legge  e
          dell’autorità, del singolo verso la giustizia e della giustizia verso i colpevoli,

          per l’ombra che il patibolo e la morte gettano sulle aspirazioni di gioia e di
          vita,  fino  a  diventare  un test-case della  sopportazione  dei  personaggi,  ma
          anche  della  titillazione  del  pubblico.  Si  fonda,  si  sviluppa,  e  si  blocca  su
          alternative estreme spesso ripugnanti: la soluzione può allora venire solo dal

          wish-fulfilment  della  fiaba,  da  una  maestria  meramente  meccanica  nel
          disporre degli intrecci.
          Measure  for  Measure  è  un  dramma  dissonante,  ibrido  e  contaminato,
          schizofrenico e diviso, ambivalente e a due facce, sia sul piano della struttura

          che  dei  personaggi,  del  linguaggio  e  della  “morale”,  del  genere  che
          rappresenta e del significato che se ne può trarre.
          La  prima,  evidente  rottura  è  strutturale:  forte  tensione  drammatica  e
          psicologica,  situazioni  tese  ed  estreme,  un  linguaggio  emotivo,  sostenuto,

          retorico, spesso di alta poesia, fino a metà del dramma, esattamente, com’è
          stato  varie  volte  notato,  fino  a III,  i,  153,  ossia  fino  al  momento  in  cui,
          raggiunta la massima tensione fra opposte pulsioni, «where prayers cross», il
          Duca  “assente”,  ma  sempre  dietro  le  quinte,  interviene  direttamente  sulla

          scena e prende in mano le fila dell’azione. Da quel momento viene a cadere
          la  precedente  tensione  drammatica  e  retorica:  prosa  sentenziosa,  con
          qualche  caduta  nella  frivolezza,  e  forme  di  versificazione  inusuali  in
          Shakespeare  −  distici  rimati,  versi  dozzinali  (doggerels)  o  sbrindellati  −  si

          sostituiscono al verso così intenso della prima parte; i personaggi da volitivi,
          assertivi e “assoluti”, caparbi nelle rispettive prese di posizione, come si sono
   915   916   917   918   919   920   921   922   923   924   925