Page 917 - Shakespeare - Vol. 3
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PREFAZIONE







          Measure for Measure fu pubblicato per la prima volta nell’in-folio del 1623, in

          un testo non particolarmente corretto, sia per quanto riguarda la distinzione
          fra  versi  e  prosa,  la  versificazione  (con  un’insolita  presenza  di  versi  mutili,
          spezzati  o  ipermetri),  qualche  passo  corrotto,  sia  per  certe  discrepanze

          cronologiche e incongruenze interne, la presenza di un paio di personaggi che
          non hanno battute, ecc.
          Fu  rappresentato  alla  corte  di  Giacomo I  (assurto  al  trono  d’Inghilterra  nel
          1603) per le festività natalizie, il 26 dicembre 1604 (San Silvestro). Qualche
          allusione topica (i negoziati di pace sui “pirati” col re di Spagna, i riferimenti

          al disagio provato dal re al contatto troppo prossimo con la folla, e al suo
          stesso  libro  sulla  regalità, Basilikon  Doron,  ristampato  in  molte  edizioni  a
          Londra nel 1603) lascia arguire che il dramma fosse stato composto (e forse

          rappresentato) nell’estate del 1604, alla riapertura dei teatri rimasti chiusi fra
          1603 e 1604 per la peste.
          La non buona qualità del testo può rispecchiare modifiche, tagli, revisioni e
          aggiustamenti  per  la  rappresentazione  a  corte,  o  suggerire  che  sia  stato
          composto  da  una  “malacopia”;  ma  può  riflettere  il  carattere  anche

          testualmente  irrisolto  di  uno  fra  i  drammi  più  discordanti,  stridenti  e
          contraddittori di Shakespeare. Nell’in-folio figura fra le commedie: ad onta del
          “lieto  fine”  e  della  risoluzione  misericordiosa  o  “cristiana”  dei  conflitti,  le

          situazioni, la conflittualità marcata di vicende e personaggi, l’aria di sessualità
          malata o violenta, abnorme e segreta, che vi predomina, l’estremismo delle
          posizioni che vi sono espresse e contrapposte, dibattute e drammatizzate, il
          carattere  tutt’altro  che  limpido,  anzi  contorto,  confuso,  “diviso”  dei
          protagonisti  e  dello  stesso  linguaggio,  ne  fanno  un’opera  cupa,  dolorosa  e

          stridente.
          Anche in passato − da Samuel Johnson a S.T. Coleridge fino a tutta l’epoca
          vittoriana − il dramma era apparso ostico (e in parte irrappresentabile), ma

          per prevalenti ragioni moralistiche. Oggi è l’estrema complessità e relatività
          conflittuale del suo universo umano e morale, politico-sociale ed ideologico, e
          naturalmente  drammatico,  a  renderlo  popolare:  onde  il  profluvio  di  studi,
          interpretazioni,  e  rappresentazioni,  spesso  in  contrasto  fra  loro,  dell’ultimo
          mezzo secolo. Segno ad un tempo della sua “modernità” contraddittoria, e

          del carattere sostanzialmente irrisolvibile (e irrisolto) dei suoi conflitti.
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