Page 914 - Shakespeare - Vol. 3
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Note







               1 Cfr. Lawrence Stone,  The Family. Sex and Marriage in England 1500-1800 , London 1977, pp. 135-
                 36.
               2 Cfr. M.B. Rosey, Sexual Love in Elizabethan Comedy, in “Renaissance Quarterly”, XLII, 2, 1989.

               3 A. Leggatt, All’s Well That Ends Well: The Testing of Romance, MLQ, 32, 2, 1971.
               4 I, i, 105 Elena si adegua al linguaggio gonfiato di Parolles, che l’ha appena apostrofata queen (con
                 doppio  senso  su quean, ‘prostituta’). Il riferimento di monarch è a un certo Monarco, un bizzarro
                 italiano alla corte di Elisabetta.

               5 I,  i,  117  Secondo  una  tradizionale  analogia  fra  sesso  e  guerra,  questa  battuta  e  le  seguenti  si
                 basano su doppisensi e giochi di parole: blow  up (‘far saltare in aria’, ‘gonfiare’, ‘mettere incinta’),
                 blow down  (‘abbattere’,  ‘far  esplodere’,  ‘sgonfiare’),  set  down  (‘assediare’,  ‘scaricare’),  undermine
                 (‘minare’, ‘scavare sotto’).
               6 I,  i,  156  Si  gioca  sul  doppio  senso  di date:  1)  il  dattero,  frutto  usato  comunemente  nella  cucina
                 elisabettiana; 2) il segno dell’età.
               7 I, iii, 31 holy reasons: allude al fatto che la procreazione è raccomandata nella funzione matrimoniale
                 (si  gioca  sui  doppisensi  sessuali  sia  in  ‘holy’  che  in  ‘reasons’,  che  al  tempo  di  Shakespeare  si
                 pronunciava come raisings ‘erezioni’). Nel suo studio sull’esperienza amorosa in Shakespeare, Arthur
                 Kirsh ci ricorda tuttavia che il riferimento a holy reasons è molto più di un semplice gioco di parole
                 osceno: «La fusione di oscenità e verità rivelata in questi versi è notevole perfino per Shakespeare,
                 ma  sarebbe  un  errore  concludere  che  il  risultato  è  una  svalutazione  sia  della  ricerca  di  Elena  che
                 dello stesso matrimonio. Al contrario, il senso osceno è anche quello teologico (e psicologico)». In
                 effetti,  le  fonti  dell’argomentare  del  Clown  a  favore  del  matrimonio  come  pentimento  si  trovano
                 nell’epistola di San Paolo ai Corinzi (I Cor. 7:14). Apparentemente la Contessa coglie le allusioni alle
                 Scritture  nelle reasons del Clown e accoglie la sua richiesta di matrimonio (I, iii, 37). D’altra parte,
                 sarebbe errato accentuare separatamente il punto di vista sacro e quello escatologico, dato che la
                 comicità della scena è chiaramente basata su di un double entendre, e la risposta della Contessa è
                 deliberatamente ambigua. Il tono sessuale della sua osservazione è che il Clown si pentirà non dei
                 suoi peccati ma del suo matrimonio, che, come lui stesso ammette, diventerà presto poco più che
                 spossante fatica fisica, finendo col farlo ritrovare cornuto. Lavatch aggiunge, tuttavia, un delizioso
                 encomio della sacra confraternita dei becchi, ancora una volta in forma di parodia alla Bottom di San
                 Paolo (I, iii, 45-50).
                 Il brano di San Paolo cui ci si rimanda fa parte della cerimonia matrimoniale elisabettiana nel Book of
                 Common Prayer 1559 (cfr. l’edizione a cura di John E. Booty, Charlottesville 1976, p. 293). Poiché
                 la parodia profana del sacro intensifica la risposta della audience a ciò che viene parodiato, la facezia
                 del  Clown  ci  ricorda  (nel  contesto  di  una  rappresentazione  teatrale  secolare)  che  l’unione
                 matrimoniale  è  sacra  in  sé,  e  riguarda  sia  la  vita  fisica  che  quella  spirituale  della  comunità  che  ci
                 circonda. San Paolo conclude: «Grande è il mistero, ma io parlo di Cristo e della congregazione».
                 C’è  da  credere  che  Shakespeare  stesso  condividesse  questo  punto  di  vista  nel  dramma  di  cui
                 parliamo.
               8 I, iii, 51 Poysam: nome chiaramente derivato dal francese poisson ‘pesce’, con allusione all’abitudine
                 papista di digiunare e mangiare pesce invece di carne. Al contrario, il precedente Charbon  (nome
                 derivato dal francese chair bonne ‘buona carne’) allude alla pratica puritana di rifiutare l’ordinanza del
                 digiuno.
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