Page 188 - Shakespeare - Vol. 3
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AMLETO
Sciocchezze. È una di quelle apprensioni che forse farebbero paura a una
donna.
ORAZIO
Se l’animo è avverso a qualcosa, obbeditegli. Vado a dire che non scendano,
che non vi sentite bene.
AMLETO
Niente affatto. Sfidiamo i presagi. Anche nella caduta di un passero c’è la
mano della provvidenza. Se è ora non è dopo; se non è dopo sarà ora; se non
è ora dovrà pure succedere. Essere pronti è tutto. Visto che nessuno, di ciò
che lascia, sa nulla, che importa andarsene un po’ prima? Non parliamone
più.
Si prepara una tavola. Trombettieri, tamburini, e ufficiali che portano dei
cuscini. Entrano il Re, la Regina, Laerte (Osric) e tutta la corte. Altri del
seguito con gli stocchi e i pugnali.
RE
Vieni, Amleto, vieni a prendere da me questa mano.
(Mette la mano di Laerte in quella di Amleto.)
AMLETO
Perdonatemi, signore. Vi ho fatto torto.
Da quel gentiluomo che siete, perdonatemelo.
I sovrani e tutti i presenti lo sanno, e anche voi
l’avrete certo saputo: sono punito
con una penosa malattia di mente.
Qualunque cosa abbia fatto, che possa aver dato
una rude sveglia alla vostra natura, al vostro onore
e al risentimento, io lo dichiaro qui, fu pazzia.
È stato Amleto a far torto a Laerte? Non è stato Amleto.
Se Amleto è tolto a se stesso, e mentre non è se stesso
fa torto a Laerte, allora non è Amleto a far torto,
Amleto lo nega. Chi è dunque a farlo?
La sua pazzia. E se è così