Page 1596 - Shakespeare - Vol. 3
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reale, della verità, e all’assenza di valori della “terra desolata” un criterio in
base al quale giudicare il giusto e l’ingiusto, il bene e il male, la verità e
l’apparenza.
Ed è qui che il consenso all’interpretazione di Kott viene meno. Egli scrive: «Il
tema del Re Lear è il disfacimento e il crollo del mondo. Come le cronache,
Re Lear comincia dalla divisione del regno e dall’abdicazione del re e, come le
cronache, finisce con la proclamazione del nuovo sovrano. Tra il prologo e
l’epilogo si svolge la guerra civile. Ma... il mondo non torna a risorgere. Nel
Re Lear non c’è un giovane Fortebraccio che non conosce dubbi e che sale sul
trono di Danimarca». E prima aveva detto: «Questo nuovo Libro di Giobbe e
questo nuovo Inferno dantesco sono stati scritti sul finire del Rinascimento.
Nel Re Lear shakespeariano non solo non c’è il Cielo cristiano, ma non c’è
neanche quel cielo che predicavano e in cui credevano gli umanisti... Nel Re
Le a r crollano entrambi i sistemi di valori: quello medioevale e quello
rinascimentale. Quando questa gigantesca pantomima finisce, non resta che
la terra deserta e insanguinata». E certo un mondo crolla, qui: quello
medioevale, e insieme il sistema ad esso legato con cui l’età elisabettiana si
era sostenuta per decenni. Tale mondo, in effetti, era già crollato nelle opere
− Giulio Cesare, Amleto, Troilo e Cressida − in cui Shakespeare aveva preso
coscienza della crisi provocata dall’avvento della nuova scienza e
dell’umanesimo, dalla Riforma, dalla scoperta di nuovi mondi, dall’emergere
di nuove forze economiche, politiche e sociali. Ma nel Re Lear, mentre quel
crollo di cui la vicenda di Lear è simbolo trova la sua espressione più
angosciosa e fin intollerabile, anche si crea il terreno su cui Shakespeare −
attraverso una terribile lacerazione e disperazione, veramente mettendo a
nudo l’anima umana, veramente rappresentando tutto il male e tutto il dolore
del mondo − ridisegna una fisionomia dell’uomo, ritrova un ordine in base al
quale vivere, e in base al quale costruire una tragedia. E il Re Lear è, a mio
avviso, la prima, e la massima, tragedia moderna, perché quest’ordine non è
fuori o al di sopra dell’uomo; non è un ordine trascendente che è dato
acquisire, come nel dramma medievale (o nella tragedia classica) attraverso
un intervento soprannaturale. Malgrado l’uso frequente di immagini attinte
all’esperienza religiosa, quest’ordine è laico, è umano, e l’uomo lo cerca nella
propria coscienza e umanità; è la verità fatta dei valori che alcuni personaggi
del Re Lear scoprono e incarnano per sé e per gli altri: la solidarietà, la
giustizia, l’amore, la pietà. Certo, è un ordine fondato sul dubbio che già
Amleto scopriva come essenza del vivere, precario, fragile, da rinnovare e
verificare giorno per giorno: sul paesaggio che l’opera ci consegna è passata