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edizioni, con qualche modifica, negli anni successivi). Tale testo (basato sulla
precedente edizione di W.J. Craig, del 1901) riproduce essenzialmente quello
dell’in-folio del 1623, pur avvalendosi anche dell’in-quarto del 1608 e dell’in-
quarto del 1619. Occorre avvertire che le didascalie in parentesi sono dovute
agli editori.
La versione, mentre si sforza di raggiungere la più rigorosa fedeltà filologica
(e le note avvertono quando, occasionalmente, se ne discosta) tenta, se non
di riprodurre, almeno di suggerire l’andamento ritmico dell’opera: di qui l’uso
del verso (e della prosa solo quando è Shakespeare ad usarla). Un verso che,
non essendovi alcun corrispondente italiano del blank verse elisabettiano
(pentametro giambico non rimato), è libero, ma, all’interno di questa sua
libertà, articolato secondo quattro accenti (anche se a volte se usano cinque
a volte tre). Il traduttore si illude che tale “metodo” gli abbia consentito di
echeggiare il movimento del testo e, soprattutto, di renderne possibile la
recitabilità. Poiché egli ritiene che, pur nella loro altissima qualità poetica, le
opere di Shakespeare trovino solo sul palcoscenico la loro compiuta
espressione, la versione cerca appunto di essere tale da poter essere
recitata. Il primo interlocutore del traduttore è perciò un pubblico italiano al
quale trasmettere, attraverso gli attori e usando un linguaggio
contemporaneo (il che non significa in alcun modo “modernizzato” né
“volgarizzato”) una delle prove supreme della civiltà moderna. Compito
naturalmente impervio e in realtà, al pari di ogni traduzione, addirittura
impossibile: e tuttavia compito da affrontare nella speranza di restituire,
dell’opera, almeno una nostalgica eco.
Fedeltà assoluta al testo, dunque, ma fedeltà assoluta anche al teatro.
Queste le intenzioni della versione, che tenta altresì di suggerire la
polivalenza e anche l’ambiguità della parola shakespeariana, pochissimo
affidando alle note e tentando, invece, di far sì che la parola tradotta possa
includere le possibili spiegazioni.
Datazione e fonti
Registrato nello Stationer’s Register il 26 novembre del 1607, il King Lear era
stato rappresentato il 26 dicembre 1606, come si ricava dal titolo completo
riprodotto nel primo in-quarto: “Cronaca veritiera della vita di Re Lear e delle
sue tre figlie, con la vita sfortunata di Edgar, figlio ed erede del Conte di
Gloucester con la sua cupa maschera di Tom di Bedlam: quale fu