Page 1598 - Shakespeare - Vol. 3
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rappresentazione di un mondo dominato e distrutto dall’inganno e dalla
finzione, implicitamente esprimevano il dubbio del drammaturgo di fronte alle
potenzialità negative del proprio mezzo espressivo. Finché nell’Otello il
dubbio diventava esplicito, e dietro Iago, il grande ingannatore e
mistificatore, colui che come Satana immette il male nella società con la sola
forza di una fantasia teatrale capace di inventare una realtà prima
inesistente, si può ben scorgere (come faranno i Puritani chiudendo i teatri) il
volto dell’artista drammatico. Anche nel Re Lear, certo, l’inganno teatrale
agisce, e il male penetra nel mondo attraverso la “recita”, la “finzione” di
Regan, di Goneril, di Edmund; quest’ultimo anzi è un piccolo Iago che usa gli
stessi mezzi del suo predecessore, a sua volta creando dal nulla la situazione
che determina la condanna e l’esilio di Edgar. Ma proprio Edgar dimostra che
alla finzione, al “travestimento” che inganna si può contrapporre una
maschera che è verità, al teatro che è morte un teatro che crea ed è la vita.
Di qui l’importanza estrema della scena mirabile (IV, vi) in cui Edgar inventa
per il padre che vuole uccidersi il paesaggio abissale delle scogliere di Dover.
La straordinaria bellezza di questo momento (che non potrebbe essere altro
che “teatrale”) non sta solo nella creazione, davanti alla mente di Gloucester,
e alla nostra, di una vita immaginaria che ha la stessa concretezza della vita
reale, ma sta anche, e soprattutto, nel fatto che proprio questa “finzione”
induce Gloucester, dopo la finta caduta nel finto abisso, ad accettare il
destino di vivere: «D’ora in avanti / sopporterò l’afflizione finché essa stessa
non gridi / “basta! basta!”, e muoia». A questo punto il teatro, attraverso
quel dramma della parola di cui si sono indicati i salienti, ha riacquistato per
Shakespeare la sua verità e la sua grandezza: non è soltanto il possibile
strumento del male; e nemmeno soltanto il mezzo con cui tramandare ai
posteri imprese memorabili (come nel Giulio Cesare) o soltanto la “cronaca
del tempo” e lo “specchio della natura” (come nell’Amleto). È tutto questo,
ma è anche di più: è strumento per opporsi alla morte, per sopportare il
destino; ed è strumento per conoscere la realtà e viverla, per ritrovare valori
scomparsi o crearne dei nuovi. L’espressione famosa, «tutta la vita è un
palcoscenico», acquista − in questo momento di suprema crisi − un
significato che non aveva mai avuto, così intenso, così ricco.
Nota sul testo e sulla traduzione
La presente versione del King Lear è stata condotta sul testo proposto da
Kenneth Muir per lo Arden Shakespeare (London, Methuen, I ed. 1952; altre