Page 123 - Shakespeare - Vol. 3
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AMLETO
Ora potrei spacciarlo, ora che prega.
Lo farò.
(Sguaina la spada.)
E così va in cielo.
E io sono vendicato. Devo pensarci bene.
Un furfante mi uccide il padre, e allora
io, l’unico figlio, quel furfante
lo mando in paradiso.
Ma questa è ricompensa, non vendetta.
Mio padre, lui l’ha preso impuro, pieno
di pane, tutte le sue colpe in fiore,
in rigoglio di maggio; e come stiano i suoi conti
solo il cielo lo sa,
ma per quanto si può saperne e
capirne in terra, per lui va male. E allora
è una vendetta se l’ammazzo
mentre si purga l’anima, ed è pronto e maturo
al passaggio?
No.
Rientra, spada, sèrbati per un colpo più orribile:
quand’è ubriaco nel sonno, o imbestialito
dalla rabbia, o si gode l’incesto nel suo letto,
o mentre impreca al gioco, o fa qualcosa
che non ha sapore di salvezza, allora
dagli lo sgambetto, i suoi talloni
tirino calci al cielo, e l’anima
sia dannata e nera come l’inferno
dove andrà. Mia madre aspetta.
Questa medicina
non fa che allungarti la malattia.
Esce.
RE
Le mie parole volano, i pensieri
si trascinano a terra. E le parole sole
non raggiungono mai il cielo.
Esce.