Page 122 - Shakespeare - Vol. 3
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fosse anche più grossa di com’è
per il sangue di mio fratello
non c’è pioggia abbastanza lassù nei cieli pietosi
per renderla di neve? A che serve la grazia
se non ad affrontare di faccia il delitto?
E non c’è una doppia virtù nella preghiera,
di trattenerci dalla caduta, o caduti
di farci perdonare? Allora, su la testa!
La mia colpa è lontana... Ah, ma quale preghiera
formulerò? «Perdona il mio turpe assassinio»?
No certo, perché ancora posseggo i frutti
dell’assassinio − la mia corona, la mia
ambizione, la mia regina.
Si può essere perdonati e tenersi il delitto?
Quaggiù, in questo mondo corrotto,
la mano d’oro della colpa
può allontanare la giustizia,
e spesso il frutto stesso del male
compra la legge. Ma lassù non è così:
lì non c’è imbroglio, lì l’azione appare
nella sua vera natura, e noi stessi
siamo forzati a testimonianza
davanti al ghigno delle nostre colpe.
E allora che mi resta? Tentare
ciò che può il pentimento. E che cosa non può?
Ma cosa può se un uomo non riesce
a pentirsi? Ah maledizione. Cuore nero
come la morte. Anima impaniata,
più sbatti per salvarti, e più ti invischi.
Aiuto, angeli, venite a salvarmi. E voi
ginocchia caparbie, piegatevi,
e tu cuore d’acciaio fatti tenero
come le carni d’un neonato. Ancora
tutto può finir bene.
S’inginocchia.
Entra Amleto.