Page 828 - Shakespeare - Vol. 2
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parlare  aulicamente  di  boccioli  sui  cui  frutti  non  tanto  si  spera  quanto  si
          dispera  per  il  gelo  che  li  ucciderà  («Hope  gives  not  so  much  warrant  as
          despair», I, iii, 40). Il testo shakespeariano è un sistema che commenta se
          stesso, assai vicino all’ideale joyciano dell’opera che ha estromesso l’autore.

          Il  Re  ad  esempio  commenta  il  proprio  errore  di  interpretazione  della
          predizione  dicendo  che  egli  scioccamente  aveva  pensato  si  trattasse  della
          Terrasanta: «which vainly I supposed the Holy Land» (IV, v, 238). Quando il
          nuovo Re cerca di demandare al Primo Giudice l’incombenza di trattare con

          l’incorreggibile Falstaff, egli dice: «My Lord Chief Justice, speak to that vain
          man»: parla a quell’uomo sciocco. Il re del carnevale e il Re dell’Inghilterra si
          danno la mano nel comune autoinganno.
          La parola è dunque spesso al centro dell’attenzione nella Parte II: ambigua,

          traditrice, efficace, anche a seconda del punto di vista. Il Principe riacquista la
          fiducia del padre con la parola, Falstaff inganna Quickly con le sue promesse,
          Lancaster irretisce i congiurati. In quest’ultima scena il tema si fa esplicito:




              ARCHBISHOP
               I take your princely word for these redresses.


              [LANCASTER]
               I give it you, and will maintain my word.
          [...]
               The word of peace is rendered. Hark, how they shout!
                                                                                                 [IV, ii, 66-67, 87]



          L’aggettivo princely era già stato usato da Poins a proposito del fratello di
          Lancaster,  Hal,  definito  «a  most  princely  hypocrite»,  qualora  piangesse  la

          malattia  del  padre  (II,  ii,  50).  E  ipocrita  e  disonorevole  è  appunto  il
          comportamento  di  Lancaster.  Questo  tradimento  ne  prefigura  un  altro,  la
          cacciata di Falstaff, che anche si getta cieco, «winking», nella rovina. Dopo
          averlo redarguito e bandito con qualche palliativo (la promessa di una rendita

          è sempre qualcosa), il Re si rivolge al Primo Giudice: «Be it your charge, my
          lord, / To see performed the tenor of our word» ( V, v, 70-71). In questo caso
          a Falstaff non resta che sperare che la parola dell’«ipocrita principesco», anzi
          regale, non sia veritiera: «Sir», egli dice al buon Shallow, «I will be as good

          as my word. This that you heard was but a colour» (V, v, 84-85). È la sua
          parola (la promessa di procurare prebende a Shallow e ripagarlo del prestito)
          contro  quella  del  Re:  «Quel  che  avete  udito  non  è  che  apparenza»,  una
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