Page 825 - Shakespeare - Vol. 2
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formaggio (è il caso di Shallow). Ma Falstaff e Shallow possono vedersi come
          soluzioni di problemi teatrali, tecnici, voci inventate perché necessarie a un
          certo punto dello sviluppo corale dell’opera.
          La metafora musicale risulta utile per avvicinare il testo shakespeariano, che

          mentre mantiene di solito desta la nostra attenzione di ascoltatori di storie, è
          tutto  tramato  di  immagini,  temi,  eventi  che  rimandano  l’uno  all’altro  e  si
          commentano  a  vicenda.  L’ascoltatore  o  lettore  da  una  parte  è  sempre  nel
          presente dell’azione in corso, dall’altra è invitato a continui confronti con altri

          punti  della  vicenda  e  del  discorso,  confronti  che  data  la  rapidità  della
          recitazione  hanno  un  significato  più  connotativo  che  denotativo.
          Naturalmente  durante  la  lettura  possiamo  andare  avanti  e  indietro  quanto
          vogliamo,  ma  con  ciò  non  raggiungiamo  ulteriori  certezze.  Possiamo  solo

          prepararci,  musicalmente,  a  un  ascolto  migliore  la  prossima  volta  che
          vedremo o leggeremo il tutto dall’inizio alla fine. Shakespeare non ha lettori
          privilegiati; non c’è chiave o risposta, solo un particolare stato di sospensione
          o  consapevolezza  poetica  (come  rilevato  in  varie  occasioni  da  T.S.  Eliot:

          «Dobbiamo  ricordare  che  l’apprezzamento  di  questi  drammi  non  sta  nel
          gustare  consciamente  un  brano  dopo  l’altro,  ma  in  un  effetto  cumulativo
          come in una grande opera musicale»).
          Uno  dei  tratti  distintivi  della Parte II  rispetto  alla I  è  il  suo  carattere  più

          episodico, più slegato dal punto di vista narrativo (anche se la struttura a un
          occhio attento si rivela assai solida), e dunque più libero nella trattazione, più
          musicale o figurativo. Il Re da cui l’opera prende nome non appare in scena
          fino all’atto III e muore alla fine del IV; il Principe la cui evoluzione è in fondo

          al centro dell’attenzione (Falstaff non ha evoluzione, tranne per la sua morte
          sociale  o  politica  o  fisica)  entra  in  scena  a  metà  dell’atto II,  scompare  in
          quello  successivo,  e  riappare  solo  nell’ultima  scena  del IV  e  in  due  scene
          dell’atto V. Si rende dunque più evidente la necessità di una lettura tematica

          (paradigmatica piuttosto che sintagmatica), che colga i collegamenti fra gli
          episodi delle tre vicende fondamentali (la ribellione, il Principe e il Re, Falstaff
          e il Primo Giudice). Abbiamo già accennato alla malattia e alla vecchiaia. Ma
          l’analogia  musicale  si  addice  particolarmente  al  Prologo  della  Fama,  vera

          ouverture che oltre a calarci nella vicenda esponendone l’antefatto immediato
          (la  battaglia  di  Shrewsbury,  la  morte  di  Hotspur)  annuncia  i  temi  della
          menzogna,  dell’inganno,  del  fraintendimento,  delle  buone  notizie  che  si
          rivelano false o funeste: «smooth comforts false». Temi ricorrenti per tutto

          l’arco del dramma, non solo nella scena I, i, che ne è illustrazione dichiarata
          (false notizie sull’esito della battaglia). L’Arcivescovo e i suoi sodali saranno
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