Page 822 - Shakespeare - Vol. 2
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personaggi  di  spicco  entrambi  in  là  con  gli  anni:  il  Primo  Giudice,
          moderatamente  severo  e  un  poco  astratto,  e  il  concretissimo  giudice  di
          campagna Robert Shallow: concreto in quanto personaggio fra i più spassosi
          e caratterizzati di Shakespeare, ma alquanto svanito nella testa. I ribelli non

          sono forse particolarmente vecchi di età, certo non danno mostra di speciale
          energia,  guidati  come  sono  dal  misurato  −  e  attempato  (IV,  i,  43)  −
          Arcivescovo. Il quale, richiesto di spiegare le ragioni della sollevazione da lui
          capeggiata, pronuncia quella che potrebbe essere la morale di questa oscura

          (e non per questo meno comica) Parte II: «Siamo tutti malati, / e con le ore
          spese nell’ingordigia e nei piaceri / ci siamo procurati una febbre bruciante, /
          per cui dobbiamo cavarci sangue» (IV, i, 54-57). Parla come se fosse Falstaff,
          re  del  mangiare  e  del  bere,  e  vede  giusto  intorno  al  salasso  incombente,

          tanto  quello  suo,  vicinissimo,  quanto  quello  del  «whoreson  little  tidy
          Bartholomew boar-pig», figlio di puttana di un lindo cinghialino da fiera, come
          affettuosamente Falstaff è apostrofato dalla prostituta Doll (II,  iv,  223).  La
          quale è essa stessa malata di sifilide: «Tu aiuti a fare le malattie, Doll. Le

          prendiamo  da  te,  Doll,  le  prendiamo  da  te.  Ammettilo,  mia  povera
          santarellina, ammettilo» (II, iv, 43-45).
          The Second Part of Henry the Fourth (come legge il frontespizio del 1600) è
          dunque  un’opera  di  tono  diverso  rispetto  alla Parte I,  scritta  da  uno

          Shakespeare  circa  trentaquattrenne  non  molto  lontano  dal  sentimento  di
          sazietà che di lì a poco detterà Hamlet. Se il Re è malato, il principe Hal, il
          futuro eroe di Agincourt (Henry V), si annuncia con le celebri parole: «Before
          God,  I  am  exceeding  weary»  (II,  ii,  1).  Hamlet  dirà  invece  nel  suo  primo

          monologo: «O God! God! / How weary, stale, flat, and unprofitable / Seem to
          me all the uses of this world!» (I, ii, 133-134). Dovendo raccontare la fine di
          un’età il drammaturgo ha incupito la sua tavolozza: la vitalità sovrabbondante
          della Parte I sopravvive solo nell’ingegno lucido (finché si tratta di giudicare e

          sfruttare gli altri) di Falstaff, nella ricerca e invenzione del tempo perduto di
          Shallow,  nei  vaniloqui  dell’alfiere  Pistol.  È  una  vitalità  vana,  marginale
          rispetto alla Storia, in cui si confrontano micidiali interessi che, come si suol
          dire,  non  guardano  in  faccia  a  nessuno.  Una  marginalità  che  però  il

          drammaturgo pone in rivincita al centro dell’attenzione, sicché la Parte II è
          anche  quella  in  cui,  diversamente  che  nella I,  il  personaggio  di  Falstaff
          domina incontrastato (593 righe contro circa 300 di Hal, che ne aveva oltre
          500  nella Parte I).  Se  questa  è  Storia,  sembra  dire,  meglio  parlare  d’altro.

          Salvo poi ritrovare la vena epica e corale nel successivo Henry V.
          Nel corso degli ultimi poco edificanti consigli del Re morente al Principe che
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