Page 268 - Shakespeare - Vol. 2
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(III, ii, 313).
          Tutti sono, più o meno esplicitamente, dominati dal potere del denaro. Lo è
          Lorenzo che fugge con Gessica, la figlia di Shylock, la quale, nel lasciare la
          sua casa, saccheggia i ducati e i gioielli del padre. Lo sono altri personaggi

          minori che ruotano attorno alla ricchezza del «principe dei mercanti». Lo è in
          fondo  lo  stesso  servo-clown  Lancillotto,  che  abbandona  l’avaro  ebreo  per
          mettersi  al  servizio  del  più  munifico  e  spendaccione  Bassanio  «che  dà
          davvero meravigliose livree nuove» (II,  ii,  107-108).  Shylock  incarna  il  lato

          cattivo  di  questo  potere  del  denaro,  come  nota,  tra  gli  altri,  L.C.  Barber
          (1959);  per  il  quale,  come  per  Goddard,  l’ebreo  è  il  capro  espiatorio  di
          un’intera civiltà, e quindi il bersaglio di una proiezione antropologica e storica.
          Se l’oro è il simbolo, pur con valenze diverse, sia di Venezia che di Belmonte,

          questi due mondi, certo in opposizione formale e ideologica, sono a loro volta
          collegati da trasferimenti di personaggi come di registri lessicali e ideologici.
          Tutto ciò fa pensare che l’unità di quest’opera complessa non sia individuabile
          nella limpida opposizione fra due mondi, di cui il secondo, che è il mondo del

          passato,  della  statica  ricchezza  feudale  con  le  sue  sovrastrutture  ideali  di
          armonia, musica, circolarità e ciclicità della propria rappresentazione, non può
          costituire  il  punto  forte  della  ricostituzione  dell’ordine,  della  rimarginazione
          della  ferita  storica  che  segna  il  mondo  moderno.  Se  è  punito  l’usuraio

          Shylock, lo scialacquatore Bassanio diventerà il nuovo signore di Belmonte,
          con  la  sua  ambiguità  e  la  sua  falsa  coscienza  ideologica  (quella  falsa
          coscienza  che,  durante  la  sua  scelta  dello  scrigno,  come  è  stato  notato
          giustamente da molti, gli fa rifiutare, con trasparente ironia drammatica, il

          simbolo dell’oro il cui valore reale lo ha attirato in quell’impresa − «Perciò, tu
          /  oro  sfarzoso,  duro  cibo  per  Mida,  non  fai  per  me»  −  nonché  il  simbolo
          dell’argento − «tu, pallido e volgare mezzano / tra uomo e uomo»: III, ii, 101-
          104).

          L’unità,  la  congruenza,  dell’opera  andrà  ricercata  allora  altrove.  G.  Midgley
          (1960) la individua nel tema della solitudine. A suo parere, l’opposizione su
          cui  si  basa  il  dramma  non  è  quella  tra  il  mondo  di  Shylock  e  il  mondo
          dell’amore e del «romance», ma quella tra Shylock e Antonio: «Come Shylock

          sta  alla  società  veneziana,  così  Antonio  sta  al  mondo  dell’amore  e  del
          matrimonio. La relazione di questi due con questi due mondi è la stessa, una
          relazione  da  outsider.  Il  dramma  è,  in  effetti,  un  doppio  studio  sulla
          solitudine».  Se  Shylock  è  l’outsider  nella  società  cristiana,  anche  Antonio

          (lettura già proposta da altri critici) lo è, «perché è un omosessuale, a livello
          inconscio, in una società prevalentemente [...] eterosessuale». Qui starebbe
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