Page 264 - Shakespeare - Vol. 2
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storico,  del  resto  ampiamente  note,  che  mi  servono  solo  per  sottolineare
          l’attualità − per Shakespeare come per il suo pubblico − dell’ambientazione a
          Venezia di drammi come Il Mercante e come Otello che presentano vicende
          d’amore  e  di  morte  all’interno  di  una  tumultuosa  civiltà  cosmopolita,

          attraversata  da  mille  segni  di discriminazione  (razziale,  etnica  e  religiosa),
          nonché da più segreti fantasmi di proiezione (psicologica e ideologica). Nella
          drammaturgia  shakespeariana  Venezia  pare  essere  il  luogo  in  cui  meglio
          possono essere rappresentate le tensioni contemporanee.

          Tensioni  che  derivano  da  una  serie  di  radicali  trasformazioni  sociali,
          scientifiche,  epistemologiche  e  immaginative  che  investono  l’intero
          Cinquecento, nel segno della nuova cosmologia copernicana, del relativismo
          conoscitivo, della nuova scienza che va a demolire i millenari postulati della

          grande teoresi classica (sia aristotelica che platonica), delle nuove scoperte
          geografiche  e  dei  conseguenti  incontri-scontri  di  popoli  e  di  costumi  e  di
          lingue. Il tutto, necessariamente, nel quadro della nuova insorgente struttura
          economica,         commerciale-mercantile,              il   cui     motore        è    già     quello

          dell’accumulazione capitalistica.
          W.H.  Auden  ha  messo  molto  bene  in  rilievo,  in  un  saggio  del  1963  sul
          Mercante,  l’immediata  evidenza  e  attualità  di  tali  nuove  coordinate  epocali
          proprio nei drammi veneziani di Shakespeare. Dopo aver fatto notare che in

          Riccardo II o in Enrico IV la ricchezza è di tipo feudale, derivando da proprietà
          terriere e non dal capitale, egli osserva: «Nel Mercante di Venezia e in Otello
          Shakespeare raffigura un tipo di società molto diverso. Venezia non produce
          nulla, né materie prime né manufatti. La sua esistenza dipende dai profitti

          finanziari che possono ricavarsi tramite il commercio internazionale [...] cioè,
          comprando  a  poco  prezzo  da  una  parte  e  vendendo  caro  altrove,  e  la  sua
          ricchezza sta nella sua accumulazione di capitali». In questi due drammi, in
          effetti, Shakespeare sviluppa l’azione (comico-tragica o tragica) più vincolata

          agli  assi  sociali,  economici  e  ideologici  della  sua  epoca  che  mai  egli  abbia
          trattato.  E  ne  risultano  opere  di  particolare  complessità  strutturale,
          semantica,  ideologica  e  psicologica-psicoanalitica.  Il  nuovo  mondo  del
          capitale è la scena in cui transitano i primi sconvolgenti fantasmi dell’uomo

          moderno,  e  il  geniale  drammaturgo  li  coglie  nel  loro  spesso  indiretto  e
          obliquo prodursi: tra razza e razza, classe e classe, uomo e uomo. Ideologia e
          psicologia  interagiscono  in  conflitti  che  sono  perversamente  simbolici  in
          quanto riguardano lo status, sempre relativo e precario, dei singoli individui in

          una  società  sempre  più  aggregata,  prevalentemente,  intorno  al  simbolo
          perverso del denaro. Che non è più solo mezzo di scambio, ma è divenuto
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