Page 262 - Shakespeare - Vol. 2
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(Sebbene  abbiamo  visto  quel  dramma  inteso  e  messo  in  scena  come  una
          commedia,  e  la  parte  dell’ebreo  recitata  da  un  comico  eccellente,  tuttavia
          non  posso  fare  a  meno  di  pensare  che  esso  fu  disegnato  tragicamente
          dall’autore. Vi appare un tale mortale spirito di vendetta, una tale selvaggia

          ferocia e cattiveria, e una tale sanguinosa indicazione di crudeltà e malignità,
          da non poter accordarsi allo stile o ai personaggi della commedia).
          Nelle  produzioni  settecentesche  si  affermò  la  chiave  interpretativa  offerta
          dall’attore Charles Macklin nella parte di Shylock, con risalto di toni passionali

          e registri variati fra «tetra solennità» e «terribile ferocia» (come riscontrarono
          i recensori del tempo). Poi, all’inizio dell’Ottocento, toccò al grande Edmund
          Kean  di  cimentarsi  nella  parte  di  Shylock,  divenuto  ormai,  nell’ottica
          dell’epoca,  il  vero  perno  dell’opera.  Fu  una  interpretazione  tipicamente

          romantica,  che  dava  grande  pathos  all’ebreo:  personaggio  malevolo  sì,  ma
          anche  discriminato  e  maltrattato,  e  quindi  oggetto  di  repulsione  come  di
          pietà.  Anni  dopo,  Heinrich  Heine  si  commosse  ad  una  rappresentazione
          londinese del dramma e concluse di «dover includere il Mercante di Venezia

          fra  le  tragedie,  anche  se  la  struttura  dell’opera  è  una  combinazione  di
          maschere ridenti e di facce solari, di forme satiresche e di amoretti, come se
          il poeta intendesse farne una commedia». La parte di Shylock fu interpretata
          nell’Ottocento, tra gli altri, da William Macready, Edwin Booth e Henry Irving.

          Quest’ultimo  spostò  ancor  più  nettamente  le  simpatie  del  pubblico  verso
          l’ebreo, figura maestosa e tragica pur nella sua spietatezza.
          Nel nostro secolo, l’opera ha avuto moltissime rappresentazioni con svariate
          letture, ma non è mai risultata una commedia in senso pieno. Piuttosto, nel

          1921,  Max  Reinhardt  la  rese  in  chiave  di  farsa.  Tra  le  messe  in  scena  più
          recenti  ricordiamo  quelle  in  cui  Peter  O’Toole  e  Laurence  Olivier
          interpretarono Shylock, rispettivamente nel 1960 e nel 1970.
          Sul  piano  della  resa  scenica,  resta  indubbio  che,  nei  secoli,  il  senso  del

          dramma  è  dipeso  soprattutto  dalla  interpretazione  della  figura  complessa
          dell’ebreo.  E  la  stessa  cosa  può  dirsi  delle  letture  critiche.  Nel  Novecento,
          tuttavia,  la  complessità  di  questo  dramma  è  stata  affrontata  non  solo  in
          relazione  a questo  personaggio,  ma  anche,  o  soprattutto,  nella  rete  dei

          rapporti tra i personaggi, nell’interseco dei due intrecci paralleli, nelle segrete
          implicazioni  ideologiche  e,  infine,  nel  disegno  drammaturgico  complessivo,
          con le sue opposizioni e le sue tensioni, che dal piano dell’azione risalgono al
          quadro storico in cui l’azione è inserita.

          I due intrecci furono da Shakespeare ricavati, e profondamente trasformati,
          da due fonti: la prima novella della quarta giornata della raccolta Il Pecorone
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