Page 1553 - Shakespeare - Vol. 2
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Pensi tu forse che possa estinguersi, l’arsura febbrile,
al vento magniloquente dell’adulazione?
Inchini e genuflessioni la faranno andar via?
Puoi tu, al mendico che s’inginocchia ai tuoi piedi,
ridare la salute? No, tu sogno orgoglioso
che subdolamente ti trastulli col riposo d’un re:
io sono un re capace di smascherarti, poiché so bene
che non il crisma della consacrazione, lo scettro, il globo,
la spada, la mazza, la corona imperiale,
il manto intessuto d’oro e di perle,
la roboante lista di titoli che precede il re,
né il trono su cui è assiso, né la marea dello sfarzo
che si frange sulle alte scogliere di questo mondo −
no, nessuna di queste cose, o fasto regale tre volte fastoso,
nessuna di queste cose, distese in un maestoso baldacchino,
può mai dormire saporitamente come il miserabile schiavo
che, a pancia piena e con la testa vuota,
va a coricarsi, rigonfio di pane duramente sudato:
e mai contempla l’orrore della notte, figlia dell’inferno,
ma, come uno staffiere, dall’alba al tramonto
suda sotto l’occhio di Febo, ma per tutta la notte
dorme nei Campi Elisi; e l’indomani, allo spuntar del sole,
si leva e aiuta Iperione a montare sul cocchio:
e così insegue l’inarrestabile corso degli anni
utilmente faticando, sino alla tomba;
e, non fosse che pel fasto regale, un tal disgraziato
che i giorni passa a sgobbare e le notti a dormire,
se la passerebbe meglio, e con maggiore profitto di un re.
Il servo, qual membro di una nazione in pace,
questa pace si gode; ma il suo rozzo cervello non arriva a concepire
a quali veglie si sottopone il re per mantenere la pace:
ogni ora della quale va tutta a profitto di chi zappa la terra.
Entra Erpingham.
ERPINGHAM
Sire, i vostri nobili, impensieriti per la vostra assenza,
vi stan cercando per tutto il campo.