Page 12 - Shakespeare - Vol. 2
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regno. Se un gruppo di vecchi regnanti lascia il posto a dei giovani, ciò che
cambia è solo l’età e il nome dei protagonisti, che però, come nella grande
scena del Riccardo III (IV, iv), quando Margaret e la Duchessa di York leggono
la storia come una catena infinita di delitti, perderanno le loro caratteristiche
individuali, omologati in quanto interscambiabili, in quell’incubo che è
diventata la storia.
Di fronte a questa cornice pubblica, che non offre più senso o giustificazione,
questo secondo movimento, a livello “privato”, si manifesta come quello dei
dubbi, degli interrogativi, dei lamenti e delle maledizioni. Si comincia con
Constance, che se dapprima si rivolge ancora nostalgicamente allo stabile
mondo della «Natura», si accorge però subito che il mondo nuovo è un luogo
governato dalla capricciosa «Fortuna» (III, i, 52-55), dove la legge si
identifica con il potere − «perché colui che regge il regno regge anche la
legge» (III, i, 188) − offrendosi quindi come il perfetto contrario di ciò che
pretende d’essere: «la legge stessa è ingiustizia perfetta» (III, i, 189). Per lei,
tradita dal giuramento di un re (III, i, 10), non resterà altro che lo
scoronamento disperato d’ogni sacralità (III, i, 83) e l’assunzione d’un ruolo
profetico (III, i, 89-95) fondato sulla sovranità del dolore:
... qui sediamo, io e il mio dolore,
qui è il mio trono, ordina ai re di venire e d’inchinarsi a lui.
(III, i, 73-75).
Lo stesso dovrà riconoscere Bianca, sconfitta dalla storia nel giorno di quelle
nozze che si volevano «sacre» (III, i, 75-82), e che non diversamente da
Constance dovrà vedere il sacro travolto dal casuale: «Lì dove la mia sorte
vive, lì muore la mia vita» (III, i, 338).
E si continua con Arthur, in quella che è la più bella scena del dramma ( IV, i):
se lo scontro politico era stato, nel primo movimento, puro scontro ideologico
tra i rappresentanti del potere, qui la politica parla direttamente attraverso il
corpo martoriato delle sue vittime.
L’età dell’innocenza è passata per tutti, e se lo stesso Giovanni si troverà a
dire «fondamenta solide / non poggiano sul sangue, non si costruisce una vita
/ sicura sulla morte altrui» (IV, ii, 104-105), ciò non vorrà dire rinunciare al
sangue, ma piuttosto rinunciare a «fondamenta solide» e a «una vita sicura»,
perché, come pare rispondergli da lontano il messo papale Pandolfo, parlando
la sua stessa logica ragione politica,
Uno scettro...