Page 11 - Shakespeare - Vol. 2
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sconsolata lamentazione di Constance, e termina con il monologo angosciato
del Bastardo, anche lui travolto da quel mondo nuovo che aveva evocato, alla
fine del secondo atto. In questo secondo movimento viene portata al suo
limite estremo quell’identificazione tra right e commodity, tra giustizia e
interesse, che aveva chiuso la prima parte, mostrandone così tutti i tragici
limiti.
Se abbiamo visto «ne’ nostri tempi quelli principi avere fatto gran cose che
della fede hanno tenuto poco conto, e che hanno saputo con l’astuzia
aggirare e cervelli delli uomini» (Il Principe, cap. XVIII, 1), qui, l’aspirazione
alle «gran cose» riduce la storia a una farsa drammatica dove l’azione e la
ragione politica si rivelano costantemente inutili, capovolgendosi di continuo
in un alternarsi di alleanze che, dopo aver prodotto vittime, morti e lutti,
lascia la situazione politica immutata, avendo però consumato
completamente la credibilità dei vari personaggi: Giovanni s’è mostrato
pronto al delitto più crudele per difendere un trono illegittimo, i nobili hanno
tradito e sono stati traditi, il legame tra la Francia e il papato s’è mostrato
meramente strumentale; persino i personaggi minori, come la madre del
Bastardo, il monaco avvelenatore o Melun, tradiscono, e tradisce, sia pure a
fin di bene, lo stesso Hubert, quando non rispetta la promessa d’uccidere
Arthur. Il legame tra Bianca e Luigi è quel niente retorico che ci era apparso
subito al suo primo manifestarsi; e Pandolfo, e quindi la parola religiosa
stessa, ci si consegnano come una farsa dottrinale in quella splendida parodia
di logica gesuitica che è il lungo monologo in III, i, 263-297.
Riti e cerimonie, trattati e matrimoni, giuramenti e alleanze, sono solo segni
vuoti, significanti denaro e potere, in un universo dove non si fa altro che
discutere e dibattere di grandi principi.
Ma questo mondo nuovo, tutto incentrato sull’interesse individuale, non offre
poi nessuna gratificazione o felicità − «Non c’è niente in questo mondo che
mi rallegri» (III, iv, 107), dice il Delfino; «Credo che nessuno dovrebbe essere
triste all’infuori di me» (IV, i, 13) dirà Arthur, scoprendo che il suo torturatore
è in preda alla sua stessa tristezza; − nessuna stabilità o regola, sì che anche
lo stesso Bastardo, che pur l’aveva tenuto a battesimo si sente «smarrito tra
le spine e i pericoli di questo mondo» (IV, iii, 140-141); e, soprattutto,
fallimentare in base alle sue stesse premesse, nessun guadagno: la Francia
perderà comunque le sue terre; i nobili che hanno abbandonato il re
dovranno tornare da lui; Pandolfo, e quindi il Papato vede dissolversi la sua
influenza sia sulla Francia che sull’Inghilterra; Giovanni lascerà come eredità
una corona carica di tutti quei dubbi di legittimità che avevano corroso il suo