Page 6 - Shakespeare - Vol. 2
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Così come legata a vicende “politiche” è stata la fortuna, o la sfortuna, di un
          dramma che non poteva certo essere recitato davanti alla corte di un Carlo I
          con  la  sua  regina  cattolica,  o  che  invece  assumeva  valenze  nazionali-
          resistenziali  se  portato  sul  palcoscenico  durante  l’attacco  nazista

          all’Inghilterra, allo stesso modo anche la sua fortuna critica è stata per lo più
          legata al dibattito sulla storiografia Tudor come produzione tesa a celebrare i
          fasti  e  l’identità  nazionale  del  popolo  inglese.  Da  un  lato  studiosi  come
          Tillyard,  Ribner,  Cease,  Campbell,  pur  con  diverse  sfumature  e  variazioni

          interpretative, hanno visto il dramma legato al dibattito politico elisabettiano,
          incentrato  sull’affermazione  di  una  teoria  della  lealtà  che  condanna  la
          ribellione  all’autorità,  anche  quando  questa  sia  illegittima  e  peccatrice;
          dall’altro troviamo figure come Burckhardt, Berry o Kott, per le quali, invece,

          «ciò  che Re Giovanni ci presenta è un mondo in cui l’autorità è totalmente
          indegna  d’ogni  fede»  (S.  Burckhardt, Shakespearean  Meanings,  New  York
          1968,  p.  138).  Le  interpretazioni  opposte  del  dramma  non  fanno,  d’altra
          parte,  che  adeguarsi  alla  figura  stessa  del  Re  Giovanni,  senz’altro  il  più

          ambiguo e sfuggente di tutti i re messi in scena da Shakespeare, irrisolto fin
          nelle sue successive proiezioni storico-ideologiche: esaltato come precursore
          di  Enrico VIII  nel  suo  opporsi  al  potere  del  papato,  e  vituperato  come
          assassino; raffigurato come usurpatore e tiranno durante la terza crociata e

          l’assenza  dall’Inghilterra  di  suo  fratello  Riccardo  Cuor  di  Leone,  nel  ciclo
          leggendario  incentrato  su  Robin  Hood,  ed  esaltato  come  fondatore  della
          democrazia, in quanto firmatario, nel 1215, di quella Magna Charta che segna
          simbolicamente la fine dell’assolutismo monarchico in Inghilterra.

          Di contro a tante ambiguità storiche, politiche e interpretative, non potevano
          mancare anche quelle testuali, a partire dalla datazione del testo, che è uno
          dei problemi irrisolti della filologia shakespeareana. Abbiamo tre date certe
          attorno  alle  quali  far  ruotare  le  nostre  capacità  interpretative:  la  prima,

          totalmente inerte, è quella del 1623, quando Re Giovanni appare per la prima
          volta a stampa nella raccolta del primo in-folio. La seconda è la menzione che
          Francis Meres fa del dramma nel suo Palladis Tamia  del 1598, dove ci dà un
          elenco  di  sei  commedie  e  di  sei  tragedie  ampliamente  note,  tra  le  quali

          elenca, appunto, il King John. La terza e importante data è la pubblicazione
          nel  1591,  da  parte  dell’editore  Sampson  Clarke,  di  un  dramma  storico
          anonimo, The  Troublesome  Reign  of  King  John  of  England  (Il  travagliato
          regno di Re Giovanni d’Inghilterra).

          Per lungo tempo tutta la critica è stata concorde nel ritenere questo dramma
          storico anonimo la fonte principale del Re Giovanni shakespeareano, il quale,
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