Page 50 - Shakespeare - Vol. 1
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strettamente al presente e alle sue forme, senza preoccupazioni
genealogiche o riflessioni erudite. È l’eletta del Signore, senza altra
mediazione. Peccato che stia dalla parte dei Francesi. La sua forza
espressiva rompe il bozzolo delle convenzioni e delle gerarchie, e afferma il
carattere drammatico della vita, in quanto terribile spettacolo di inaudita
violenza. Lungi dal tramandare gesta esemplari, il nuovo history play
sviluppa un racconto fatto di lacerazioni e di contrastanti interpretazioni. Il
cronista si è trasformato in un artista che ha rinunciato a essere narratore
della volontà dell’Onnipotente, e che preferisce a una visione unitaria, fatta
di semplici e nette polarizzazioni, una più complessa sequenza di
prospettive drammatiche. Il ricordo dei posteri è ancora attività
fondamentale del mondo ereditato da Enrico VI, su cui aleggia lo spettro
del padre (tanto che il giovane sovrano porterà su di sé, scrive Holderness,
«il tragico destino scritto nel passato immutabile»), e dove i valiant dead
abbondano - da Salisbury a Bedford, da Talbot al di lui figlio -; le loro
imprese devono essere adeguatamente commemorate nel marmo e nella
retorica degli elogi funebri. Ma il passato non indica più la via maestra, né
la Storia ripete i percorsi del mito e della classicità. In fin dei conti, alle
porte di Bordeaux si combatte una nuova battaglia di Agincourt, ma questa
volta Talbot, che aveva già perso a Patay, perde nuovamente, senza
possibilità di scampo. A capo dei Francesi c’è una santa puttana, figlia di
uno zotico e folgorata da Dio (o dal diavolo), mentre un’altra incantatrice si
appresta a salire sul trono d’Inghilterra. Si ha un bel ricostruire gli eventi
dei tempi andati, se poi la storia “alternativa” degli Yorkisti trasforma
perfino il grande Enrico V in un usurpatore. Il passato non dà alcun
insegnamento e il futuro incalza, pieno di prodigi spaventevoli, di colpi di
scena che non lasciano respiro. Nella stessa giornata si vince e si perde,
ma chi è morto è morto e il tempo degli eroi è bello che finito, mentre
ancora si procede a elencare i loro splendidi titoli nobiliari, come fa Sir
William Lucy senza sapere che Talbot è stato ucciso. Il piano celeste e
quello terreno sono irrimediabilmente divisi. Solo quando si potrà riscoprire
gli eroi non attraverso le celebrazioni e le citazioni erudite, ma nella loro
umanissima sostanza, Shakespeare riprenderà il cammino che porta dal
principe Harry all’Enrico V di Agincourt. Intanto, dentro l’affresco del
disordine, mentre il potere costituito si sfalda e si autodistrugge sotto i
colpi dei nobili macellai, brulicano sul palcoscenico le manifestazioni del
diverso e del sovversivo: Giovanna d’Arco e le sue sorelle, il re
carnevalesco Jack Cade, il re-mostro Riccardo di Gloucester. In questa
diversità prodigiosa delle risposte imprevedibili eppure “reali”, che il gran
verminaio della Storia fa emergere alla superficie della rappresentazione,
sta la proposta d’un giovane drammaturgo, che è impegnato a provare e a