Page 45 - Shakespeare - Vol. 1
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L’ottica teatrale conserva qualcosa della rigidità allegorica dei morality
plays, anche se non esiste più il motivo ispiratore rappresentato dalla
centralità dell’ordine feudale e dal suo aderire a una superiore visione
divina; ma la linearità delle scene di corte, dove tutti i sudditi sono sullo
stesso piano ed esprimono la loro sottomissione al sovrano, assiso sul
trono, con la genuflessione e l’inchino, viene sostituita dalla frenetica
verticalità degli episodi bellici, dove assedianti e assediati si scambiano i
ruoli, nello sforzo di conquistare la posizione più in alto, sull’upper stage,
sulla balconata, per dominare da lì e irridere i nemici momentaneamente
sconfitti. Una deformazione prospettica fa sì che il drammaturgo appaia
neutrale, mentre invece egli tende a focalizzare in modo non banale
l’attenzione degli spettatori sul campo inglese, sia perché all’interno di esso
esplodono i dissensi più aspri, sia perché i Francesi sono soprattutto intenti
a definire l’identità degli Inglesi, la loro natura di combattenti accaniti e
orgogliosi, simili a tanti Olivieri o a tanti Orlandi; e intanto gli Inglesi la loro
identità la stanno perdendo, attraverso le contese intestine. Quest’ultimo
aspetto introduce un livello ironico: gli Inglesi - soprattutto il loro
campione, il terribile Talbot, una vera leggenda vivente, un nome che da
solo spaventa bambini e soldati nemici - vengono idealizzati dai Francesi
molto più di quanto essi non sembrino tenere in considerazione se stessi.
Dopo tutto, gli insulti più feroci gli Inglesi li rivolgono a sé, come si vede
nella rissa che coinvolge fin dalla prima scena Gloucester e Winchester. Dei
Francesi viene messo in rilievo, come è stato notato da alcune studiose
(Marilyn French, Phillys Rackin), la grazia femminea, mutevole e
contraddittoria, pronta a esaltarsi e a deprimersi, a perdersi in chiacchiere
e a cambiare opinione. Così succede a Borgogna, un vero Frenchman,
commenterà la Pulzella, dopo averlo riportato nel campo anti-inglese con
uno splendido discorso patriottico sulle sciagure del loro comune paese. E
tuttavia i Francesi, così vanesi e dediti principalmente ai pettegolezzi e alle
allusioni sessuali, generano tra le loro file campioni invincibili, tanto che si
potrebbe dire che la campagna militare inglese viene compromessa da un
paio di donne e da un ragazzino. “Doppio” dell’imbelle re-fanciullo, il figlio
dell’artigliere di Orléans spaccia con una cannonata il prode Salisbury,
sopravvissuto a mille battaglie. Giovanna d’Arco guida le schiere francesi
usando strategie sempre diverse, quando occorre, travestendosi da
contadina e spesso facendosi beffa dei nemici, alle cui offese risponde
colpo su colpo; adottando cioè una tecnica militare nuova e imprevedibile,
in cui l’elemento psicologico ha un suo peso preciso, nel fiaccare la fiducia
degli Inglesi. Accanto a lei la Contessa d’Auvergne e poi Margherita d’Angiò
appaiono varianti d’una stessa strategia insidiosa, che si serve degli
incantesimi femminili per mirare al cuore dell’avversario. E se la Contessa
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