Page 41 - Shakespeare - Vol. 1
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che ricorda l’importanza delle recenti messe in scena, appunto perché esse
hanno dimostrato non solo la qualità spettacolare della trilogia (intuita
anche da Giorgio Strehler nella sua versione de Il gioco dei potenti, 1965),
ma anche la coerenza drammatica nella successione delle tre opere. Una
coerenza, aggiungiamo noi, che risalta anche grazie all’epilogo aperto,
decisamente ironico, della prima parte: si attende l’arrivo di Margherita
d’Angiò, la promessa sposa del giovane Enrico VI. Ci sono le premesse di un
atto di rinnovamento dello stato, reso fertile dall’unione regale, ma
Shakespeare non dimentica di indicare, per bocca di Gloucester, le
disastrose implicazioni politiche della scelta nuziale, e, per bocca di Suffolk,
il grumo di ambizioni spregiudicate che si aggirano nei sotterranei della
Storia. Su questo incerto scenario si innesterà la seconda parte dell’Enrico
VI. Riguardo alla recente fortuna teatrale della trilogia, invece, vale la pena
di menzionare il fatto che l’Enrico VI, nella sua integrità, è stato inserito
nella stagione teatrale dell’estate 1994 a Stratford-on-Avon, dove recita la
Royal Shakespeare Company.
Le fonti della trilogia e in particolar modo, per quanto qui ci riguarda,
quelle della prima parte dell’Enrico VI, sono state individuate da tempo
nelle cronache di Edward Hall, The Union of the Two Noble and Illustre
Families of Lancastre and Yorke (1548) e nella seconda edizione delle
Chronicles of England, Scotland and Ireland di Raphael Holinshed (1587). Il
dibattito critico contemporaneo si orienta piuttosto sull’una o sull’altra
opera come fonte principale dell’Enrico VI. In qualche caso Shakespeare
mescola i due resoconti, soprattutto nella ricostruzione del personaggio
della Pulzella, che sembra risentire sia dell’interpretazione ostile di Hall (a
sua volta influenzato dalle cronache dello storico borgognone Enguerrand
de Monstrelet), sia di quella più favorevole di Holinshed. In generale, c’è
chi indica la più puntuale presenza di Hall, come hanno fatto Marcella
Quadri, Anna Maria Bernini, Giovanna Mochi, a cui si deve una minuziosa
comparazione sinottica di questa fonte e delle scene della prima tetralogia
(Nel laboratorio di Shakespeare, 1988), mentre Hattaway giunge alla
conclusione che Holinshed abbia costituito il principale riferimento. Anche
sulla visione puramente provvidenziale della Storia che avrebbe guidato la
penna di Hall e di Holinshed, passando poi a Shakespeare, esistono seri
dubbi, come sottolinea Graham Holderness, il quale ricorda, in The Making
of Historical Drama (1992), la contemporanea esistenza, alla fine del ’500,
di almeno tre diversi miti storiografici, legati rispettivamente al punto di
vista dei Lancaster, degli York e dei vincitori Tudor.
A Hall e a Holinshed si aggiungono, del resto, altre fonti, soprattutto
d’ordine storico: A Chronicle at Large di Richard Grafton (1569), che si basa
in larga misura su Hall; la storia dell’Inghilterra, compilata in latino (e poi
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