Page 43 - Shakespeare - Vol. 1
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quei sogni di valore cavalleresco con cui la cultura tardo-cinquecentesca
sperava di rivitalizzare, a compimento e continuazione futura del regno di
Elisabetta, un’epoca anch’essa vicina al tramonto: «Collegati da conclusioni
aperte che non concludono nulla, ma iniziano azioni che verranno
sviluppate nelle opere successive, gli intrecci episodici [della trilogia]
raffigurano un mondo sempre più caotico e privo di significato e un’azione
che sembra svuotata d’ogni portata etica o di propositi provvidenziali»
(Phyllis Rackin, Stages of History. Shakespeare’s English Chronicles , 1990).
Per affrontare il panorama del disordine, Shakespeare deve affinare
progressivamente le strategie teatrali, allontanandosi dai modelli del
dramma storico che prevalevano nella seconda metà del ’500. In un
palcoscenico popolato da qualche residuo eroe e da molti personaggi
sempre più piccoli e meschini, il tessuto dei riferimenti storici e la densità
dei contesti politici prevalgono, come ha sottolineato David Riggs (Henry VI
and His Literary Tradition, 1971) sull’alta retorica delle magnifiche imprese
epico-mitologiche.
A innescare la situazione drammatica provvede un evento capace di
segnare tutta un’epoca anche nella memoria dei contemporanei di
Shakespeare: la morte di Enrico V, il sovrano vittorioso ad Agincourt, il
potenziale capostipite di un impero anglo-francese. Le conseguenze
vengono sviluppate con un’apparente logica geometrica, fatta
dell’alternanza simmetrica di scene, che illuminano ora il campo inglese,
ora quello francese, per mostrare ora i successi militari degli uni, ora quelli
degli altri, fino alla tregua finale, dove nulla sembra cambiato: i Francesi
del Delfino devono riconoscere il dominio del monarca inglese sul loro
territorio, pur acquisendo il diritto a governare le cospicue estensioni del
paese che, di fatto, già controllano. Come se la Storia ripercorresse le
formule di uno spettacolo teatrale, dove si recita sempre sullo stesso
palcoscenico, che può raffigurare Londra o Parigi, Orléans o Rouen. Invece
tutto si trasforma, perché, con il passare del tempo, i dissensi interni
all’aristocrazia inglese si approfondiscono, provocando effetti nefasti,
mentre la meteorica ascesa di Giovanna d’Arco porta consistenti vantaggi
al nemico. Emblematica di questa duplice visione del tempo storico -
statico e dinamico, regolato da forze sovrannaturali (il corso degli astri, le
arti magiche) e concretamente manovrato dai personaggi più attivi
(Riccardo di York tra gli Inglesi, Giovanna tra i Francesi) - è, nella prima
parte dell’Enrico VI, il ripetersi dei rituali della corte inglese e l’incrinatura
che essi subiscono. A un re (Enrico V) ne succede un altro (Enrico VI) che,
giunto alla maggiore età, riprende a legiferare, premia i vassalli fedeli
(Talbot, Riccardo), predica la concordia interna (a Gloucester e a
Winchester, agli Yorkisti e ai seguaci dei Lancaster), punisce i reprobi (il
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