Page 42 - Shakespeare - Vol. 1
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tradotta in inglese) verso la metà del ’500 dall’umanista italiano Polidoro
Virgilio, approdato alla corte di Enrico VIII; le Cronache di Jean Froissart,
vissuto in Francia attorno alla seconda metà del ’300. Non mancano i
riferimenti ai classici della storiografia, come le Vite di Plutarco, tradotte
dal francese nel 1579 da Thomas North o a opere letterarie
contemporanee, come la Faerie Queene, il poema di Edmund Spenser
dedicato a Elisabetta I, i cui primi due libri erano stati pubblicati nel
dicembre del 1589, quando di essi fa menzione lo Stationers’ Register.
Basandosi sulla comparsa della Prefazione e dei primi libri della Faerie
Queene, Cairncross ritiene che l’Enrico VI sia stato scritto dopo il 1589 e
prima dell’agosto del 1592, quando, come abbiamo visto, Nashe allude alla
popolarità di Talbot nel Pierce Penilesse. Ipotizzando che la sequenza
cronologica rispecchi l’ordine di stesura, il curatore della Arden Edition
indica nel 1590 la data più probabile per la composizione della prima parte.
Di conseguenza, egli esclude, differenziandosi da Chambers e da Dover
Wilson, che la prima parte dell’Enrico VI si possa identificare con un Harey
the vj, recitato dalla Compagnia patrocinata da Lord Strange il 3 marzo
1592, secondo la testimonianza fornita dai Diari di Philip Henslowe. Per
Hattaway, invece, lo Harey the vj potrebbe essere effettivamente la prima
parte dell’Enrico VI, tanto più che, in quel periodo, Shakespeare era
impegnato con la Compagnia di Lord Pembroke, associata a quella di Lord
Strange. Si può dunque affermare che la prima parte della trilogia, intesa
come una sequenza drammatica unitaria, sia stata scritta a distanza di
qualche tempo dal marzo del 1592, tanto più che, secondo Hattaway, nella
seconda parte dell’Enrico VI si coglie qualche eco immediata dell’opera
precedente. Hattaway aggiunge un elemento a spiegazione dell’attualità
dell’opera per il pubblico elisabettiano: l’invio poco fortunato di truppe
inglesi in Francia dal 1589 al 1591 per appoggiare Enrico di Navarra a capo
della fazione ugonotta, e, dall’ottobre al novembre del 1591, per porre
inutilmente l’assedio, sotto il comando del Conte di Essex, alla città di
Rouen. La prima parte dell’Enrico VI sarebbe dunque l’amaro frutto di una
stagione di incertezze e frustrazioni militari, piuttosto che lo spettacolo
della “nascita d’una nazione”, appena scampata vittoriosamente al pericolo
dell’invasione spagnola e cattolica.
Semmai, ciò che si manifesta fin dalla prima parte della trilogia è la
frattura tra la nostalgia del passato e una struttura ideologica sempre più
anarchica (il frame of disorder di J.P. Brokbank), tra la solidità marmorea
dei nobili esempi eroici e delle genealogie aristocratiche e la progressiva
caduta di ideali e di valori feudali (i patterns of decay di E.I. Berry). Alla
fine, ciò che emerge è uno spietato universo machiavellico che estromette
dall’operare umano (perché di questo si tratta, non di un disegno divino)
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