Page 44 - Shakespeare - Vol. 1
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vile Fastolf). Ma dal funerale di Enrico V, morto nel 1422, alla tregua di
Tours e all’annunciato matrimonio di Enrico VI con Margherita d’Angiò nel
1444, tutti i valori feudali sono stati brutalmente messi in crisi. Intanto,
ogni volta che l’ordine gerarchico viene riaffermato nelle solenni scene di
corte, qualcuno giunge a interrompere, a rovinare, lo spettacolo: sciagure,
dissensi, diserzioni mostrano l’impossibilità di ricomporre un quadro
unitario della comunità e restituiscono la parola ai veri protagonisti del
potere, i guerrieri che combattono con la forza e con l’astuzia, che
occupano cittadelle o ne negoziano la resa, i «solisti della morte», come li
chiamò Giorgio Strehler negli appunti della sua messinscena de Il gioco dei
potenti presentata a Salisburgo nel 1973, «i potenti, con le armature rituali
(quasi samurai), caschi ‘terribili’ come maschere». Vedremo, però, che
anche le regole della guerra sono sconvolte. Nel primo e negli altri political
plays della trilogia (così li chiama giustamente Michael Hattaway), il
retaggio lasciato da Enrico V, il supremo e ineguagliabile modello di una
organizzazione statale (ovvero, di una macchina militare) che nel sovrano
unto da Dio si riconosce senza esitazioni, si disperde nel vento turbinoso
della Storia. E a ragione (più di quanto forse non intenda) Giovanna d’Arco,
il cui compito è quello «di essere il flagello degli Inglesi», ricorda di fronte
ai nobili francesi, dubbiosi e scoraggiati: «La gloria è come un cerchio
nell’acqua, che si allarga / e s’allarga, finché sempre più esteso, / non
scompare. Con la morte di Enrico / si dissolve il cerchio inglese». Poi, verrà
anche il suo turno.
Quando il vincitore di Agincourt muore, il trono è praticamente vacante,
poiché il figlio ha appena nove mesi. Su questa realtà storica, non
necessariamente negativa (e infatti le sconfitte inglesi in Francia non
cominciarono nel 1422, ma sette anni più tardi, con la comparsa della
Pulzella), Shakespeare costruisce il suo discorso drammatico. La cerimonia
funebre manifesta, infatti, una doppia presenza-assenza: un re è invisibile
perché chiuso dentro il feretro, che campeggia al centro della scena, l’altro,
il successore, è confinato nella culla. La fragilità della situazione politica,
icasticamente raffigurata sul palcoscenico dal trono vuoto (solo nel III Atto
Enrico farà la sua apparizione), diviene il motivo dominante dell’opera e
introduce la lunga teoria degli aspiranti alla corona, dal vecchio Edmund
Mortimer al nipote Riccardo di York, dal Delfino - che reclama la Francia -
a Suffolk, il quale vorrebbe governare prendendosi per amante la regina. Il
resto della trilogia confermerà questo faticoso incedere verso un potere
sempre più delegittimato: dalla rivolta di Jack Cade, il popolano cialtrone
della seconda parte, si passa, nell’opera successiva, al fallimento dei due
contendenti principali, Enrico e Riccardo, sui cui cadaveri Riccardo di
Gloucester, il futuro Riccardo III, potrà erigere il suo trono di sangue.
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