Page 38 - Shakespeare - Vol. 1
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PREFAZIONE
Scrivendo a proposito di Alessandro Dumas padre, uno dei suoi romanzieri
preferiti, Robert Louis Stevenson, l’autore de L’isola del tesoro , esaltava
Shakespeare come il più grande artista «della cristianità», e aggiungeva:
«L’ho letto tutto tranne Riccardo III, Enrico VI, Tito Andronico e Tutto è
bene quello che finisce bene; e questi, avendoci provato varie volte e con
tutto l’impegno possibile, ormai so bene che non li leggerò». Non si
potrebbe avere testimonianza più efficace della scarsa fortuna della trilogia
dell’Enrico VI, che, assieme al Riccardo III, forma la cosiddetta prima
“tetralogia storica”, mentre la seconda, più matura, comprende il Riccardo
II, le due parti dell’Enrico IV e l’Enrico V. In effetti, la convinzione che le tre
parti che compongono l’affresco storico dell’Enrico VI, pubblicate una dopo
l’altra nel primo in-folio delle opere di Shakespeare (1623), fossero in
realtà il prodotto di una collaborazione di vari autori, tra cui si sarebbe
infilato anche il giovane Shakespeare, forse appena giunto a Londra, ha
certamente condizionato l’interesse dei lettori e dei critici, per non parlare
di registi e attori. L’autenticità delle tre opere - e soprattutto della prima
- era già stata messa in discussione nel 1790 da Edmund Malone nella
Dissertation on the Three Parts of King Henry VI. Tutto il successivo
periodo romantico, che avrebbe portato alla rivalutazione di Shakespeare
come artista supremo e universale, guardò con indifferenza o con
insofferenza al lungo ciclo di battaglie e di intrighi di corte che sembra
costituire la spina dorsale della trilogia. Ulteriore prova che si trattasse di
un’impresa a cui avevano dato mano vari autori era considerato il celebre
attacco di Robert Greene in A Groatsworth of Wit (1592) contro
Shakespeare, il «villano rifatto di corvo», «l’unico Scuotiscena (Shake-
scene) del paese», fornito di «un cuore di tigre rivestito della pelle d’un
attore», così come, nella terza parte dell’Enrico VI, la ferocissima regina
Margherita viene accusata da Riccardo di York morente di avere «un cuore
di tigre rivestito della pelle di una donna». Per Greene, anch’egli vicino alla
fine, Shakespeare è uno spregiudicato scopiazzatore, da cui i colleghi
devono guardarsi. Un’altra indiretta conferma che Shakespeare non era il
solo autore almeno della prima parte si troverebbe nel riferimento al brave
Talbot, terrore dei Francesi, contenuto nel Pierce Penilesse di Thomas
Nashe (1592). Nashe riferisce con orgoglio del successo strepitoso del
personaggio, come se stesse perorando una causa pro domo sua.
Solo dopo che Peter Alexander aveva argomentato le ragioni che
pendevano a favore dell’integrità della trilogia (Shakespeare’s Henry VI and